writer58
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domenica 9 maggio 2021
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questa terra è la mia terra
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"Nomadland" è una proposta che coniuga un approccio sobrio, quasi da documentario, con un afflato poetico che illumina i paesaggi e i gesti quotidiani. Giocato sul contrasto tra radici, identità stanziale e ricerca di nuovi orizzonti, tra meccanismi espulsivi e strategie di sopravvivenza, appare come un'opera bella e coinvolgente, premiata per i suoi meriti intrinseci.
La vicenda narrata è semplice nella sua essenzialità: Fern, donna che si avvicina ai 60 anni, ha perso nel giro di breve tempo, il lavoro a causa della crisi economica del 2008 e il marito, stroncato da una malattia.
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"Nomadland" è una proposta che coniuga un approccio sobrio, quasi da documentario, con un afflato poetico che illumina i paesaggi e i gesti quotidiani. Giocato sul contrasto tra radici, identità stanziale e ricerca di nuovi orizzonti, tra meccanismi espulsivi e strategie di sopravvivenza, appare come un'opera bella e coinvolgente, premiata per i suoi meriti intrinseci.
La vicenda narrata è semplice nella sua essenzialità: Fern, donna che si avvicina ai 60 anni, ha perso nel giro di breve tempo, il lavoro a causa della crisi economica del 2008 e il marito, stroncato da una malattia. Trasforma il suo furgone in una casa su ruote e si mette a viaggiare per gli stati del midwest alla ricerca di un suo spazio di libertà fatto di aree di sosta, lavori precari e rapporti umani con un insieme di nomadi che condividono con lei spostamenti e filosofia di vita.
Le tappe del viaggio toccano il black rock desert in Nevada, il Badlands National Park, nel sud Dakota. i campi del Nebraska, le coste del nord della California, l'Arizona, luoghi che ci parlano di un'altra America, percorsa da persone che sono sono collocate ai margini del sistema di produzione e consumo proprio delle società avanzate. Nel suo girovagare, Fern svolge molteplici attività: dagli incarichi a tempo presso Amazon, alla pulizia delle aree di parcheggio per i camper, alla raccolta delle barbabietole. Ritrova spesso nei suoi spostamenti alcune persone con cui si stabiliscono vincoli di solidarietà e di appoggio reciproco. Dave, Linda May, Swankie, Cat, Emily, personaggi spesso interpretati da "veri" nomadi che rappresentano la loro condizione.
Colpisce il senso di comunità e di vicinanza che queste persone, apparentemente marginali, esprimono, come se fossero la riedizione degli antichi pionieri in una terra che ha smarrito il suo desiderio orginale di esplorazione e conoscenza, di rapporto con luoghi incantevoli e maestosi, dagli orizzonti sconfinati.
La regista Cloé Zhao, cinese maturata professionalmente negli Stati Uniti, dimostra un'eccellente maturità artistica, confezionando un'opera che ha il respiro di un'elegia, insieme sobria e intensa. La performance della McDormand è notevole, come pure quella dell'intero cast, composto in buona parte da attori non professionisti. La recitazione è sempre misurata, per nulla enfatica: a volte pare di trovarsi davanti a un documentario sui nuovi nomadi.
Fedele al principio "show, don't tell", il film si dipana tra paesaggi splendidi, incombenze quotidiane, aggregazioni mosse dalla vicinanza e da percorsi comuni, rivolte individuali ai meccanismi di emarginazione e di esclusione, ricerca di senso e di nuovi significati nel terzo tempo della vita.
Un'opera che scorre e fluisce come un veicolo che percorre una strada in mezzo a un territorio senza confini.
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stefano capasso
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domenica 25 aprile 2021
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alla ricerca del senso della vita
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Fern ha perso il lavoro a causa della crisi finanziaria che ha fatto chiudere i battenti alla fabbrica dove aveva lavorato una vita. Ha perso anche il suo affetto, Bo, il marito scomparso in seguito ad una malattia. Attrezza il suo furgoncino a casa mobile e si mette in viaggio per gli States alla ricerca di qualcosa che ancora non capisce ma ben decisa a non rientrare più nel ricatto del capitalismo, per un viaggio senza fine dove troverà una inaspettata comunità di umani che hanno fatto la sua stessa scelta.
Chloé Zhao in un road movie focalizzato sui nomadi che attraversano l’America. Col suo stile quasi documentaristico, Zhao conduce un’indagine a più livelli: da una parte c’è la presa di posizione decisa contro il sistema economico che tiene vincolate a se le persone, necessarie al suo funzionamento, dandogli si la possibilità di vivere con le tradizionali comodità ma negando loro la possibilità di vivere una vita piena.
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Fern ha perso il lavoro a causa della crisi finanziaria che ha fatto chiudere i battenti alla fabbrica dove aveva lavorato una vita. Ha perso anche il suo affetto, Bo, il marito scomparso in seguito ad una malattia. Attrezza il suo furgoncino a casa mobile e si mette in viaggio per gli States alla ricerca di qualcosa che ancora non capisce ma ben decisa a non rientrare più nel ricatto del capitalismo, per un viaggio senza fine dove troverà una inaspettata comunità di umani che hanno fatto la sua stessa scelta.
Chloé Zhao in un road movie focalizzato sui nomadi che attraversano l’America. Col suo stile quasi documentaristico, Zhao conduce un’indagine a più livelli: da una parte c’è la presa di posizione decisa contro il sistema economico che tiene vincolate a se le persone, necessarie al suo funzionamento, dandogli si la possibilità di vivere con le tradizionali comodità ma negando loro la possibilità di vivere una vita piena. Su quest’aspetto si fonda poi il livello più profondo del film, che parla di individui che sono alla ricerca di qualcosa che significhi vita. Tutti hanno perso delle garanzie economiche, ma hanno perso soprattutto un riferimento importante nella loro vita: un affetto, una persona, la salute. Scegliere la strada diventa una risposta a quel profondo dolore che è la mancanza, all’impossibilità di pensare ad un futuro in continuità col presente, e magari col passato; significa dare importanza al momento, dare valore a quello che si ha intorno, a godere della connessione intima con la natura. Per tanti è una ricerca che non ha mai fine perché è necessaria a tenere in piedi la propria vita, la propria storia, senza dimenticare o rinnegare quello che si è fatto; per altri arriva invece il momento di chiudere questa parentesi, vuoi perché si presentano nuove possibilità di proiettare se stessi nel futuro, vuoi perché la fine della vita è un momento che nessuno può evitare.
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eugenio
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mercoledì 20 gennaio 2021
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la strada come metafora forzata di vita
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Nomadland,vincitore del Leone d’oro al Festival del cinema di Venezia di questo tormentato 2020 appena trascorso, è un film di confine, nel senso letterale del termine, dal quale sembra non poterci essere via di ritorno, un’Espiazione alla Mc Ewan dolente e terribile, un esilio privo di casa, affetti familiari e futuro. Il luogo del senso diventa sottile e incerto come la capacità di vedere oltre, di osservare ancora con gli occhi di un giovane la realtà che appare spietata e crudele e dove "le cose accadono quando le persone non stanno al loro posto dal momento l’ordine delle cose è anche la loro morte”.
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Nomadland,vincitore del Leone d’oro al Festival del cinema di Venezia di questo tormentato 2020 appena trascorso, è un film di confine, nel senso letterale del termine, dal quale sembra non poterci essere via di ritorno, un’Espiazione alla Mc Ewan dolente e terribile, un esilio privo di casa, affetti familiari e futuro. Il luogo del senso diventa sottile e incerto come la capacità di vedere oltre, di osservare ancora con gli occhi di un giovane la realtà che appare spietata e crudele e dove "le cose accadono quando le persone non stanno al loro posto dal momento l’ordine delle cose è anche la loro morte”.
Fern, una straordinaria Frances Mc Dormand veste proprio i panni di una nomade del Terzo Millennio, una persona semplice come tante oggi, ritrovatasi di punto in bianco senza lavoro per le sempre più frequenti chiusure aziendali dettate da una crisi sociale senza tempo che avvinghia come una morsa impedendo ogni respiro.
Addirittura, storia vera, la chiusura dell’azienda per cui lavora, nel Nevada rurale determina l’abbandono totale di una cittadina costruita attorno ad essa, dall’oggi al domani sparita dalla mappa, inglobata dagli arbusti e dal deserto, senza neanche più un codice postale.
Troppo “vecchia” per riuscire a trovare una nuova occupazione e troppo “giovane” per poter aspirare ad un minimo di pensione utile a garantirle un sussidio sufficiente, a Fern non resta altro che la via della strada su una roulotte, attrezzata con le vestigia di un’esistenza superstite, in cerca di lavori saltuari e una nuova vita sempre più precaria tra lacerti di un’umanità sconvolta dalla crisi ma ancora dotata di grande dignità.
È un viaggio, quello compiuto in Nomadland, opera della regista cinese cresciuta in America, Chloé Zhao, sulle strade del Far-West de-industrializzato, dotato di forte carica realistica e poetica che alterna al volto scavato e duro di Frances McDormand, una serie di visi “colti sulla strada”, i “veri” nomadi: Linda May, Swankie, Bob Wells, i cui volti rimangono incisi nella memoria.
Ma Nomadland non ragiona soltanto sull'istanza escatologica che conduce al declino morale e psichico di una persona quanto alle conseguenze che un'attività lavorativa e la relativa perdita generano nello spirito umano, istanza che si traduce in un viaggio in cerca di spazi aperti quelli ampi e sterminati del deserto entro cui Fern si muove continuamente spostandosi di ranch in ranch, città in città con una roulotte, feticcio col passato.
Cercando di superare la perdita del lavoro e della casetta aziendale, il ricordo del marito morto, secondo l'adagio che “chi viene ricordato da qualcuno non muore mai”, Fern ricerca un po' come un Kerouac della Beat Generation, nella strada la metafora di un cammino interiore e al tempo stesso di una maturazione esistenziale oltre i demoni della sua personale e travagliata vita oramai vacua dopo la morte dei sensi.
La regista indugia volutamente su un paesaggio, volutamente dell'anima, panorama quasi spettrale come può essere il deserto roccioso tra Nord Dakota e Mexico, ai cui bordi di quegli anfratti e rocce si insedia la comunità nomade di cui Fern farà parte alla stregua dei pionieri, sempre ricercando una sua precisa identità. Qualcosa che la porterà infine ad agire contro le regole del tempo forse ricercando quel sentimento di complicità denominato famiglia.
Ispirato all’omonimo romanzo di Jessica Bruder e accompagnato dalle note coinvolgenti e struggenti di Ludovico Einaudi, Nomadland è un film potente, un affresco di un'umanità dolente ma dignitosa, un apologo dei poveri d’oggi, il ceto una volta medio, ora trovatosi più indigente in una forbice che divaria e piega ma non spezza.
Perché Fern, come tutti i nuovi nomadi che dopo un giorno, un mese, un anno si ritrovano per strada (a cui il film è dedicato), ha la forza di rialzarsi e continuare ad andare e andare sempre in direzione ostinata e contraria.
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gustibus
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sabato 17 aprile 2021
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ma dove e''la novita''?
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Sicuramente il film di Chloe'Zhao riprende l'America dei due volti.Qui la poverta'dovuta ad un lavoro perso nel 2008 per la crisi economica .Fern(F.Mc.Dormand)e'la protagonista che rimasta sola rende un piccolo furgone-camper e parcheggiando nell'America lontana/rurale cerca di vivere facendo lavoretti,cercando sempre di reagire ad una vita da nomade...povera pero'!.Donna sui 60 anni,troppo vecchia per un lavoro,troppo giovane per la pensione,senza aiuti sanitari e...continuare a combattere.Questo e'il messaggio non nuovo.Nessuno ha mai visto "Non si uccidono cosi'anche i cavalli"?..Quindi i messaggi degli Usa a due facce..non sono nuovi.Visto i 6 milioni di poveri assoluti che ha l'Italia perche'mai dovrebbe cosi'colpirmi questo film?.
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Sicuramente il film di Chloe'Zhao riprende l'America dei due volti.Qui la poverta'dovuta ad un lavoro perso nel 2008 per la crisi economica .Fern(F.Mc.Dormand)e'la protagonista che rimasta sola rende un piccolo furgone-camper e parcheggiando nell'America lontana/rurale cerca di vivere facendo lavoretti,cercando sempre di reagire ad una vita da nomade...povera pero'!.Donna sui 60 anni,troppo vecchia per un lavoro,troppo giovane per la pensione,senza aiuti sanitari e...continuare a combattere.Questo e'il messaggio non nuovo.Nessuno ha mai visto "Non si uccidono cosi'anche i cavalli"?..Quindi i messaggi degli Usa a due facce..non sono nuovi.Visto i 6 milioni di poveri assoluti che ha l'Italia perche'mai dovrebbe cosi'colpirmi questo film?...Ho notato i premi a decine che ha ricevuto"Nomadland"e candidato pure a sei premi oscar..Io saro'un cinefilo anomalo..ma non ho notato niente di speciale..ho letto "suono struggente"..ma quale?...fotografia bellissima..ma quale?..scenografia non originale da Oscar..ma quale?..l'attrice principale sempre brava per carita'..ma avete visto "3 manifesti a..."?stessa espressione!...La regista?..ma lasciamo perdere,altrimenti mi censurate!.Film da vedere 1volta soltanto.Amo il cinema,ma non piace accodarmi alla fila del "film da Oscar"del vincitore a Venezia...non ho notato niente di speciale.Ma.sono fuori dal "politicamente corretto"?Ah un ultima considerazione..nessun critico ha avuto il coraggio di dire.che ce'una lampante pubblicita'di una nota ditta online di trasporto col titolare tra i piu'ricchi al mondo.Fa un po'stridere..tanto!
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jaylee
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domenica 9 maggio 2021
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il sogno americano, 50 anni dopo
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Il vincitore dell'Oscar 2021, scritto e diretto da una regista cinese (Chloe Zhao), simbolo di una Hollywood che bene o male si rinnova e si apre al mondo esterno: seconda donna a vincere la statuetta, prima donna asiatica. Non come il coreano Parasite di Bong Joon-Ho del 2019, Nomadland, però è girato in USA (in ben 7 stati) con attori americani, in cima a tutti la magnifica Frances McDormand.
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Il vincitore dell'Oscar 2021, scritto e diretto da una regista cinese (Chloe Zhao), simbolo di una Hollywood che bene o male si rinnova e si apre al mondo esterno: seconda donna a vincere la statuetta, prima donna asiatica. Non come il coreano Parasite di Bong Joon-Ho del 2019, Nomadland, però è girato in USA (in ben 7 stati) con attori americani, in cima a tutti la magnifica Frances McDormand. Anzi, a dire la verità, la McDormand, insieme a David Strathairn, è l'unica professionista, essendo gli altri che appaiono nel film vera gente di strada (con il loro vero nome), in stile quasi neo-realista alla Rossellini.
Sì, perchè come il titolo suggerisce, il film fa riferimento ad una vera e propria comunità di nomadi, un insieme di persone che vivono in un camper o in un furgone, e che si incrociano lungo le tante strade degli Stati Uniti, qualcuno per scelta (reminiscenza della cultura hippie), qualcuno come viaggio della vita, qualcuno perchè costretto da un'economia ormai disumana (siamo nel post-disatro economico tra il 2011-13) a spostarsi continuamente in cerca di lavori stagionali.
In questa cornice si muove Fern, ultrasessantenne rimasta vedova e senza una casa dopo che ha perso il marito e la compagnia mineraria che dava loro alloggio e impiego, chiude i battenti. Così, inizia a viaggiare sul suo van scassato, in giro per vari Amazon, Parchi naturali, raccolte di barbabietole e ortaggi vari, chiunque le dia da vivere. Fern ci vive sul quel van, ci mangia, ci dorme; si incrocia e scambia idee con altre persone, spesso a più riprese come con la sua amica Linda May (ultrasettantenne nella sua condizione) e altri come lei; e si sposta sulle strade e paesaggi di Stati Uniti (dall'Arizona al Nebraska, dal Michigan al Nevada) che sembrano lunari, così come ci appaiono aliene le condizioni di questi esseri umani in un Paese così ricco, peraltro non immigrati, ma bianchi e anche di buona educazione.
Quasi neo-realista come approccio, dicevamo, quello scelto dalla Zhao. Film fatto tutto di dialoghi e paesaggi a volte meravigliosi a volte terribili, e di musiche sempre sospese, non per ultimo il nostro Ludovico Einaudi. E ovviamente molto basato sulla performance della protagonista, presente in ogni scena del film (letteralmente): peraltro, la McDormand, in pieno metodo Strasberg, ha vissuto per mesi sul furgone, provando l'esperienza e soprattuto la spossatezza continua e di restrizioni di chi vive in quelle condizioni, incluso una scena (ripresa nella realtà) dove deve defecare in un secchio (sic... per decisione della stessa McDormand) .
Per tanti versi Nomadland, con la sua apparente destrutturazione e le musiche pervadenti, ricorda un altro film "On The Road" made in USA, ovvero Easy Rider del 1969, che però ne sembra l'antitesi: di là, una quel'inquietudine imperfetta interrotta bruscamente, ma carica di promesse che erano gli Stati Uniti di 50 anni fa, adesso una mera sensazione di sentirsi fuori posto ovunque, ciclica e infinita, ogni anno che si sussegue rispetto al precedente. Non più l'energia selvaggia e la spudorata bellezza dei tuoi vent'anni (rappresentata dalla moto e dai capelli al vento), ma con la stanchezza inquieta dei tuoi 60, dentro un furgone scassato, sempre con il timore che qualcuno ti bussi sullo sportello per mandarti via; con in comune tra i due il conforto dei tuoi simili, ma senza mai sentire appartenenza e "radici", solo un temporaneo sollievo prima del prossimo tratto di strada.
In definitiva, il film ci è piaciuto, anche se ci è sembrato vincere l'Oscar più per opportunità politica (ormai è una regola) che per meriti effettivi: un buon film, non un capolavoro, di sicuro non un film che rivedremmo una seconda volta, se non per la strepitosa performance della protagonista. Un po' Carver, un po' Kerouac, ma senza la stessa scintilla. (www.versionekowalski.it)
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jonnylogan
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mercoledì 21 aprile 2021
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sì, viaggiare
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Empire, nel Nevada, è ormai una città fantasma da quando la locale fabbrica dedita alla produzione di cartongesso è stata chiusa trascinando al fallimento l’economia urbana. Per questo Fern, sessantenne rimasta vedova, decide di caricare il proprio van e andare finalmente alla ricerca di una vita migliore.
Dai freddi panorami del Nevada, stato con scorci meno noti rispetto agli agglomerati urbani ma altrettanto onirici, si muove Fern, vedova che a sessant’anni decide di riscrivere la sua esistenza, o almeno di allontanarsi dalla ‘città azienda’ di Empire, forma urbana diffusa nei paesi anglosassoni e letteralmente di proprietà di una società, nella quale ha vissuto per decine di anni assieme al marito.
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Empire, nel Nevada, è ormai una città fantasma da quando la locale fabbrica dedita alla produzione di cartongesso è stata chiusa trascinando al fallimento l’economia urbana. Per questo Fern, sessantenne rimasta vedova, decide di caricare il proprio van e andare finalmente alla ricerca di una vita migliore.
Dai freddi panorami del Nevada, stato con scorci meno noti rispetto agli agglomerati urbani ma altrettanto onirici, si muove Fern, vedova che a sessant’anni decide di riscrivere la sua esistenza, o almeno di allontanarsi dalla ‘città azienda’ di Empire, forma urbana diffusa nei paesi anglosassoni e letteralmente di proprietà di una società, nella quale ha vissuto per decine di anni assieme al marito. Passando da un McJob all’altro: dalla logistica di Amazon, alla raccolta delle barbabietole, dalla vendita di minerali, al lavoro nei fast-food, Fern rappresenta la più classica delle voci fuori dal coro, desiderosa di riaffermare la propria identità seguendo la meno consueta delle sceltecomuni. Cercando attraverso una vita nomade, nel corso della quale s’imbatte in decine di persone, fra cui il ‘nomade’ David Strathairn, che come lei hanno deciso di vivere errando per le pianure e i deserti degli States, alla ricerca di una nuova esistenza, lontana e differente da chi pianta radici e cerca conferme.
Frances McDormand aggiunge alla propria carriera una nuova anti - eroina che esattamente come la Mildred Hayes, di Tre manifesti a Ebbing, Missouri, attraverso poche battute riesce, in questo caso, a spiegare il dramma di chi per scelta, necessità o semplice desiderio, si trova, causa recessione, a dover riscrivere il proprio stile di vita.
Pellicola pluricandidata alla notte degli Oscar, con ben sei statuette, fra cui la nomination per la splendida fotografia firmata da Joshua James Richards,e basata sul libro inchiesta di Jessica Bruder che cercò, attraverso la vicenda del nomadismo su quattro ruote, di descrivere cosa significhi la nuova povertà della middle - class americana in un epoca non semplice da domare, capace di trascinare molte persone a viaggiare, replicando l’elemento fondativo di una nazione ancora molto giovane.
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fabriziog
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mercoledì 5 maggio 2021
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film strepitoso on the road!
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Il cinema è tornato!
"Nomadland" (Premio Oscar 2021 come Miglior Film) diretto dalla cinese naturalizzata statunitense Chloé Zhao (Miglior Regia) è strepitoso!
La fotografia di Joshua James Richards è la vera trama, narrata lungo i solchi espressivi del volto intenso di una gigantesca Frances McDormand, Premio Oscar come Migliore Attrice Protagonista(vi ricordate il personaggio centrale di "Tre manifesti a Ebbing, Missouri"?): le rughe del suo viso raccontano una sofferenza tangibile, visiva, fisica, percepita dal pubblico, una sofferenza che permane anche quando un sorriso le compare sul volto e gli occhi brillano di una luce nuova.
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Il cinema è tornato!
"Nomadland" (Premio Oscar 2021 come Miglior Film) diretto dalla cinese naturalizzata statunitense Chloé Zhao (Miglior Regia) è strepitoso!
La fotografia di Joshua James Richards è la vera trama, narrata lungo i solchi espressivi del volto intenso di una gigantesca Frances McDormand, Premio Oscar come Migliore Attrice Protagonista(vi ricordate il personaggio centrale di "Tre manifesti a Ebbing, Missouri"?): le rughe del suo viso raccontano una sofferenza tangibile, visiva, fisica, percepita dal pubblico, una sofferenza che permane anche quando un sorriso le compare sul volto e gli occhi brillano di una luce nuova. È un film on the road, quasi schizofrenico, fra spostamenti dentro sconfinate cornici naturali e la stantia schiavitù del lavoro da Amazon. Una pellicola en plain air che si sviluppa nella tensione che ogni individuo prova nel cercare un abbraccio da una comunità, nello scansare una solitudine in cui troppi americani sono gettati.
Radici che non si dimenticano ma rimangono silenti, come malattie da nascondere, per poi riemergere prepotenti e sospingere Fern a tornare in una casa oramai vuota, disadorna, spoglia, senza più vita. E allora è tempo di andare come novella pioniera con il proprio van più in là, senza meta, salvo un lavoro da trovare, dentro spazi solo apparentemente geografici ma in realtà eterei come possono essere solo quelli dell'anima.
Ci vediamo lungo il viaggio
Fabrizio Giulimondi
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ghisi
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mercoledì 5 maggio 2021
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i nuovi nomadi
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Il film è tratto da un articolo di Jessica Bruder pubblicato su Harper’s Magazine nel 2014 - diventato libro tre anni dopo con il titolo Nomadland. Un racconto d’inchiesta - ed è reduce dall’aver ottenuto tre Oscar 2021 per il miglior film, per la migliore regia e per la migliore attrice protagonista. Aveva già vinto il Leone d’Oro alla della 77esima Mostra del Cinema di Venezia.
Per scrivere il libro la giornalista Jessica Bruder passò tre anni sul van a parlare e intervistare persone che vivono on the road. Sono i nuovi nomadi, le generazioni di chi ha più di cinquant’anni che hanno perso il lavoro; molti di loro a causa del crack innescato da Lehman Brothers nel 2008, che ha portato via loro casa, lavoro e risparmi trasformandoli in uomini e le donne dei van, delle roulotte e dei camper.
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Il film è tratto da un articolo di Jessica Bruder pubblicato su Harper’s Magazine nel 2014 - diventato libro tre anni dopo con il titolo Nomadland. Un racconto d’inchiesta - ed è reduce dall’aver ottenuto tre Oscar 2021 per il miglior film, per la migliore regia e per la migliore attrice protagonista. Aveva già vinto il Leone d’Oro alla della 77esima Mostra del Cinema di Venezia.
Per scrivere il libro la giornalista Jessica Bruder passò tre anni sul van a parlare e intervistare persone che vivono on the road. Sono i nuovi nomadi, le generazioni di chi ha più di cinquant’anni che hanno perso il lavoro; molti di loro a causa del crack innescato da Lehman Brothers nel 2008, che ha portato via loro casa, lavoro e risparmi trasformandoli in uomini e le donne dei van, delle roulotte e dei camper.
Al libro si interessò Frances McDormand che, insieme all’attore e produttore Peter Spears, ne acquisì i diritti per il cinema nel 2017 e scoprì la regista che ne è anche sceneggiatrice.
“Nomadland” è una sorta di documentario empatico su quel tipo di nomadismo statunitense visto attraverso gli occhi di Fern (interpretata dalla stessa Frances McDormand): «Senza casa ma non senza tetto (houseless e non homeless)» specifica in uno dei suoi rari dialoghi a una sua ex studentessa incontrata casualmente.
Siamo a nord-ovest del Nevada nel deserto Black Rock che era il letto di un grande lago lungo più di 100 km prosciugatosi migliaia di anni fa. Fin dal XVIII secolo questa zona ha sempre ospitato una serie di attività minerarie. A un certo punto ad Empire, chiude lo stabilimento US Gypsum e Fen si mette in viaggio sul suo furgoncino chiamato Avant-garde, fermandosi qua e là a seconda dei lavori temporanei che trova.
Quello meglio remunerato è per Amazon, che all’epoca si stava affermando e aveva bisogno di personale extra nei picchi stagionali, come durante il periodo natalizio. Poiché occorreva trovare una nuova forza lavoro l’azienda nel 2008 si era rivolta con successo ai migranti, alle persone che viaggiavano e vivevano nei veicoli. È iniziato così il programma Camper Force che consiste in un’occupazione molto dura, con turni di 10-12 ore pagati tra gli 11 e i 15 dollari l’ora, ma che permette però di guadagnare il denaro sufficiente per mantenersi per il resto dell’anno in viaggio.
La vita di Fern quindi è fatta di lavori saltuari o stagionali, di inverni rigidi, e di serate solitarie. Su consiglio dell’amica Linda May (che interpreta se stessa), si mette in contatto con un’intera comunità di persone che vive come lei e che si spostano da un’area all’altra del paese con i loro camper, ma costituiscono una comunità con una base fissa dove riunirsi e creare legami. Molte persone rappresentate nel film non si possono permettere, di andare in pensione anche se hanno lavorato tutta la vita (mancanza di contributi, pensioni troppo basse ecc.). Qui tanti incontri con altrettante umanità sofferenti, ognuno con il proprio dramma e con le proprie memorie: lutti da superare, malattie, abbandoni e tutto il resto sono i ricordi che ogni van cela al suo interno. Tre delle persone che Fern incontra sono reali nomadi che hanno accettato di interpretare se stessi nel film: Linda May, Swankie, Bob Wells.
Durante il resto dell’anno, Fern si guadagna da vivere talvolta come responsabile del campo dove sostano i veicoli. È un’occupazione che non costituisce un guadagno vero e proprio ma permette la permanenza gratuita e consente di passare la giornata immersi nella natura, a contatto con le molte altre persone. Tra i vari lavori precari Fern trova anche una occupazione in un impianto di lavorazione della barbabietola da zucchero. Poi incontrerà David, (interpretato da David Strathairn) che lavora al Badlands National Park accompagnando i turisti nelle visite e poi come cuoco per Wall Drug, un ristorante vicino al parco. Il loro rapporto si trasformerà in una storia di tenera amicizia.
Fern non sa vivere tra quattro mura, si sente intrappolata in una casa che sia con la sorella e il marito o con la famiglia di Dave, che pur l’accoglie a braccia aperte in occasione della festa del thanks-giving. Così preferirà ritornare nel deserto per rincontrare Bob Wells e la comunità attorno a lui che va e viene. Aiutare gli altri dà un senso alla vita, la natura è vasta e noi ne facciamo o parte. Così il saluto di Bob Wells non è mai un addio: «I’ll see you down the road» (ci vedremo per la strada).
Il film sembra narrare contesti diversi da quello attuale, da un lato evoca un certo tipo di popolazione come quella raccontata all’inizio del Novecento da John Steinbek, ormai senza più miti americani, dall’altra richiama il mondo degli hippies anni ’60, una popolazione ormai anziana in cerca di natura e di pace. Alla continua ricerca di ciò che sta oltre l’orizzonte la nomade di Chloé Zhao attraversa vari Stati: Arizona, Nebraska, Nevada, California e South Dakota, tutti fotografati magistralmente da Joshua James Richards, il compagno della giornalista e scrittrice Jessica Bruder.
In un’intervista la regista Chloé Zhao ha raccontato di essere rimasta colpita da un brano del libro diEdward Abbey, Desert solitaire. Una stagione nella natura selvaggia: «Gli uomini vanno e vengono, le città nascono e muoiono, intere civiltà scompaiono; la terra resta, solo leggermente modificata. Restano la terra e la bellezza che strazia il cuore, dove non ci sono cuori da straziare... a volte penso, senz’altro in modo perverso, che l’uomo è un sogno, il pensiero un’illusione, e solo la roccia è reale».
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felicity
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mercoledì 30 giugno 2021
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l’america di chi ha scelto di vivere ai margini
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Nomadland è il fantasma del capitalismo, l’ombra di un sogno che non si è mai concretizzato, l’immagine di una terra ricca di opportunità che si è dissolta. Zhao restituisce dignità alla provincia, esalta il legame tra uomo e natura. Con sguardo da documentarista, cattura i volti di chi non vuole restare indietro, di chi sceglie di non fermarsi.
Tanti primi piani, i racconti di solitudini diverse, che provano a fare comunità in mezzo al deserto. La musica di Ludovico Einaudi, il viso scavato di Frances McDormand, sono i tasselli di un mosaico che cattura la quotidianità di chi è rigettato dal sistema.
È un western senza pistole.
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Nomadland è il fantasma del capitalismo, l’ombra di un sogno che non si è mai concretizzato, l’immagine di una terra ricca di opportunità che si è dissolta. Zhao restituisce dignità alla provincia, esalta il legame tra uomo e natura. Con sguardo da documentarista, cattura i volti di chi non vuole restare indietro, di chi sceglie di non fermarsi.
Tanti primi piani, i racconti di solitudini diverse, che provano a fare comunità in mezzo al deserto. La musica di Ludovico Einaudi, il viso scavato di Frances McDormand, sono i tasselli di un mosaico che cattura la quotidianità di chi è rigettato dal sistema.
È un western senza pistole. I personaggi hanno la pelle bianca, ma potrebbero essere indiani. La loro riserva è tutto ciò che sta al di fuori dai canoni, dai grattacieli delle metropoli. Trovano una loro quiete la sera intorno al fuoco, come stanchi cowboy sempre in fuga da qualcosa. Sono inseguiti dai ricordi, che da memoria personale diventano coscienza collettiva.
Nomadland è un potente affresco su un’America nascosta, dove la desolazione del paesaggio si fonde con le anime lacerate dei viaggiatori.
Non c’è il mito della frontiera, non c’è la corsa all’oro, non c’è un luogo da raggiungere. C’è proprio l’idea della vita come viaggio, reale e simbolico: i camper si rompono, esattamente come le persone si ammalano. La natura consola, un paesaggio al tramonto può commuovere, ma il freddo può anche ucciderti.
È un film di battaglie spesso perdute, dove gli unici datori di lavoro disposti a pagare appartengono alla cosiddetta gig economy e l’esasperazione del consumismo sembra essere la sola via di uscita. Quindi Zhao mostra chi ha meno, chi non può e non vuole accumulare.
La cineasta sottolinea la fermezza, l’impossibilità di cambiare dell’essere umano attaccato ai suoi valori. A suo modo invoca una riconciliazione: mette a tacere un mondo frenetico, e cerca il silenzio, cerca un po’ di onestà in un West senza più miti né speranze.
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gelindo
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lunedì 3 aprile 2023
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vietato agli aver 60
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Due cose
Il film
E’ stato detto molto e in nulla potrei contribuire a molte savie e documentate review già scritte.
Solo mi permetto aggiungere che, visto dalla prospettiva di un coetaneo, è un film che andrebbe centellinato, talmente sconfortante che solo chi NON ha quell’età (Zhao ha 40 anni) o quei problemi (insomma, Mcdormand è brava, ma certo non avrà bisogno di far lavoretti saltuari) può proporne una visione “senza limitì d’eta”.
Esagerando, direi quasi che andrebbe sconsigliata la visione o, come nei famosi bugiardini dei farmaci, annunciati possibili effetti avversi per chi ha più di 60-65 anni.
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Due cose
Il film
E’ stato detto molto e in nulla potrei contribuire a molte savie e documentate review già scritte.
Solo mi permetto aggiungere che, visto dalla prospettiva di un coetaneo, è un film che andrebbe centellinato, talmente sconfortante che solo chi NON ha quell’età (Zhao ha 40 anni) o quei problemi (insomma, Mcdormand è brava, ma certo non avrà bisogno di far lavoretti saltuari) può proporne una visione “senza limitì d’eta”.
Esagerando, direi quasi che andrebbe sconsigliata la visione o, come nei famosi bugiardini dei farmaci, annunciati possibili effetti avversi per chi ha più di 60-65 anni. Poi ...contenti voi.
Eppure Fern (Felce in italiano...insomma quelle piante ancestrali che si riproducono con un sistema non sessuale), a differenza di altri protagonisti, a differenza di molti altri, ovunque, ha una sorella benestante che l’accoglie. Ha qualcuno che la può aiutare. Ad altri non resta che il popolo di nomadland....e fortuna che esiste.
Il contesto
Quello geografico SI conta.
Il popolo di nomadland è un popolo del limbo. Strettamente ne rurale ne urbano. E’ quello dei centri intermedi, dei borghi che si spopolano. Della provincia.
Ma non immaginiamo quella italiana. Gli USA hanno 30 abitanti per km2, l’italia più di 200.
Diversa è invece l’analisi sociale.
Molti hanno usato la triste parabola del film per parlare della solita, addirittura, “tomba del mito americano” o del “fantasma del capitalismo”.
Forse. Io non lo credo.
Credo che il mito americano, o quello della classe media in generale, sia in realtà un’invenzione, bella ma durata poco...nel caso italiano diciamo dagli anni 80 fino ai primi anni 2000??
Ora, per esempio in Italia, pensiamo che tutto ciò sia immutabile. Che l’isola Italia potrà, dovrà, deve tornare ad essere quel vulcano effervescente sempre di nuovi diritti che era negli anni 70 e 80. Ignorando un mondo, miliardi di individui, che scalpita per aver anche lui parte di questi diritti e i loro benefit...e forse non c’è ne posto ne risorse per tutti.
C’è però poi anche l’analisi politica.
Il mito americano, nella tomba o già fantasma, stranamente permette di fare film come questo ad una migrante cinese. Permette a migliaia di nomadland, di girare senza limitazioni.
Non è cosi ovunque. Nelle luminose tirannie a cui forse si ispirano quegli enunciatori della “tomba del mito americano e del capitalismo”, ciò non avviene. Ne si produce il film, ne esistono i nomadland. Semplicemente perchè solo esiste l’oblio.
O andate in Cina o Russia a vedere che succede a quelli che non sono più “utili” alla società.
Date retta. Meglio anche solo aver la prospettiva di poter fare il nomadland, che l’oblio cinese o russo.
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(di gelindo)
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