gipi
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sabato 23 novembre 2024
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nomadland é pesante
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Personalmente reputo il film con bella fotografia e belle pennellate sugli stati d'animo e le relazioni umane
però l'ho trovato lento triste e non mi ha lasciato nessuna prospettiva positiva al futuro
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xerox
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domenica 7 luglio 2024
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alla rispettabile età...
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... di 66 anni, Dio o chi per lui, ha voluto farmi realizzare un sogno della mia vita: un viaggio negli Stati Uniti. Sono stato in California, Nevada, Utah, Arizona. E' da quando ero alto una buatta (scatola) di pelati che vedo foto dell'America, documentari dell'America, miliardi di films dell'America. Che sento i racconti dell'America dalle mie zie partite negli anni '50 e '60 per New York. E adesso, finalmente, ho potuto esserci DI PERSONA! Tutta questa pappardella (di cui immagino freghi niente a nessuno), per dirvi qualcosa sul film...
La cosa fondamentale da dire, cari amici di My movies, è che non esistono foto, non esistono documentari, non esistono films, che possano soltanto lontanamente dare un'idea di quello che vedi e senti quando sei li.
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... di 66 anni, Dio o chi per lui, ha voluto farmi realizzare un sogno della mia vita: un viaggio negli Stati Uniti. Sono stato in California, Nevada, Utah, Arizona. E' da quando ero alto una buatta (scatola) di pelati che vedo foto dell'America, documentari dell'America, miliardi di films dell'America. Che sento i racconti dell'America dalle mie zie partite negli anni '50 e '60 per New York. E adesso, finalmente, ho potuto esserci DI PERSONA! Tutta questa pappardella (di cui immagino freghi niente a nessuno), per dirvi qualcosa sul film...
La cosa fondamentale da dire, cari amici di My movies, è che non esistono foto, non esistono documentari, non esistono films, che possano soltanto lontanamente dare un'idea di quello che vedi e senti quando sei li. Devi essere li con i tuoi occhi, le tue orecchie, i tuoi sensi per capire che cos'è il blu infinito dei cieli dei canyons e dei deserti, macchiati da nuvole bianche come neve. Certi panorami come quello di Dead Horse Point (ricordate il volo della macchina di Thelma e Louise alla fine del film?) che fanno immaginare la nascita del nostro pianeta. L'emozione di abbracciare una sequoia (come fa Fern nel film). Gli spazi infiniti, infiniti, infiniti. Come i silenzi, rotti solo dagli uccelli e dai rapaci. L'America è quando la natura ci si mette proprio d'impegno a ricordarti che sei una caccoletta. In ogni istante del film, Fern sembra comunicarci l'assoluto fascino che questa natura travolgente esercita sull'essere umano. Fascino che ci rende incapaci di immaginarci in una normale comunità tradizionale.
Grandissima McDormand, ma indimenticabili anche gli altri suoi compagni di viaggio, di struggente umanità.
Bellissimo film, bellissima McDormand, ma soprattutto strabellissima America.
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urbansolitude
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martedì 11 giugno 2024
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nomadland, coraggioso ma non troppo.
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Fern (il meritato premio Oscar Frances McDormand) viene travolta dalla chiusura della fabbrica di cartongesso in cui il marito lavorava. Il destino si accanisce su di lei. Rimasta vedova in una cittadella fantasma nel bel mezzo del deserto del Nevada dove i meccanismi del capitalismo più bieco che costruisce città e quartieri su misura del profitto, hanno deciso la nascita prima, e il totale abbandono poi, dell'insediamento urbano nato esclusivamente attorno a quella attività economica senza prospettarle alcuna soluzione alternativa, Fern rimane priva di una casa dove poter stare. Attraversa così gli Stati Uniti con il suo furgone, portando con sé solo alcuni scatoloni e ricordi indelebili.
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Fern (il meritato premio Oscar Frances McDormand) viene travolta dalla chiusura della fabbrica di cartongesso in cui il marito lavorava. Il destino si accanisce su di lei. Rimasta vedova in una cittadella fantasma nel bel mezzo del deserto del Nevada dove i meccanismi del capitalismo più bieco che costruisce città e quartieri su misura del profitto, hanno deciso la nascita prima, e il totale abbandono poi, dell'insediamento urbano nato esclusivamente attorno a quella attività economica senza prospettarle alcuna soluzione alternativa, Fern rimane priva di una casa dove poter stare. Attraversa così gli Stati Uniti con il suo furgone, portando con sé solo alcuni scatoloni e ricordi indelebili. Il suo volto segnato dal dolore incrocia storie di senzatetto come lei.
Il suo senso di dignità e orgoglio la conducono in un ginepraio di lavori precari e sottopagati, e a dover rifiutare ogni aiuto stabile per la paura che un ennesimo terremoto, come un lutto o un rifiuto, possa farla ripiombare nella disperazione. Anche se Fern è una donna forte e tenace, la sua esistenza appare inesorabilmente così fragile.
Anche se possono a tratti sembrarlo, le storie che si innestano nel film non sono scelte di vita, così come capiamo col passare delle sequenze che anche quella di Fern non può esserlo.
È una tappa obbligata, un girone dell'inferno sulla Terra alla quale esseri umani esausti e incompresi, si rifugiano ma per sognare un futuro migliore che non sembra essere a portata di mano, in cui intravedono fantasmi del passato e timori futuri.
Gli scenari mozzafiato in cui Fern è immersa sono un'intenzionale pugno nello stomaco alla crudezza della sua vita costantemente sul filo del rasoio. I lunghi silenzi di questa notevole pellicola non lasciano alcuno scampo alla superficialità o alla sottovalutazione dello spettatore.
E mentre si riflette tra dialoghi volutamente sospesi e un montaggio netto che ci richiama alla responsabilità di una società dove le istituzioni lasciano indietro esclusione e marginalità, si è immersi in quella quotidianità così scarna e drammatica fino a temere che la protagonista possa non farcela.
Il film non si perde nella retorica e né si piange addosso ma lascia che a parlare siano il susseguirsi degli eventi, l'alienazione dell'essere umano, il contrasto tra la miseria e il benessere anche ostentato di chi prospetta a se stesso rendite immobiliari.
La direzione della fotografia si sposa benissimo con ogni singolo istante nel quale i volti dei senzatetto, che non hanno mai perso una piccola speranza di felicità, ci riconsegnano l'immagine di una condizione esistenziale piena di ingegno, fratellanza, interessi e decoro.
Chloé Zhao alla regia ci indica i veri miserabili di questa storia. Non sono Fern o le sue amiche altrettanto povere e sorridenti. Sono i grandi assenti, che nella spietata prossemica diventano colpevoli di qualcosa che non c'è, e che si ostinano a mettere al centro di tutto l'idolatria del denaro nella falsa narrazione dei vincenti.
Premiato con il Leone d'oro alla 77ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, il Golden Globe per il miglior film drammatico e per la miglior regista, oltre a tre premi Oscar, rispettivamente per il miglior film, la miglior regia e la migliore attrice protagonista, Nomadland sarebbe potuto essere un capolavoro se la sceneggiatura, nata da un adattamento dall'omonimo libro della giornalista Jessica Bruder, fosse stata un po' più coraggiosa, caratterizzando anche la legittima rabbia di quei personaggi ingiustamente dimenticati e su cui ruota la trama del film, comprensibile rabbia che ritroviamo ad esempio in altri personaggi cinematografici, come ad esempio in Erin Brockovich.
Le ferite dell'anima dei vari protagonisti del film riusciamo persino a respirarle minuto dopo minuto. Non si tratta di inguaribili bohémiennes, eppure sembra che il plot narrativo sia stato elaborato per tenere sopito qualsiasi intento più marcatamente politico.
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gelindo
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lunedì 3 aprile 2023
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vietato agli aver 60
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Due cose
Il film
E’ stato detto molto e in nulla potrei contribuire a molte savie e documentate review già scritte.
Solo mi permetto aggiungere che, visto dalla prospettiva di un coetaneo, è un film che andrebbe centellinato, talmente sconfortante che solo chi NON ha quell’età (Zhao ha 40 anni) o quei problemi (insomma, Mcdormand è brava, ma certo non avrà bisogno di far lavoretti saltuari) può proporne una visione “senza limitì d’eta”.
Esagerando, direi quasi che andrebbe sconsigliata la visione o, come nei famosi bugiardini dei farmaci, annunciati possibili effetti avversi per chi ha più di 60-65 anni.
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Due cose
Il film
E’ stato detto molto e in nulla potrei contribuire a molte savie e documentate review già scritte.
Solo mi permetto aggiungere che, visto dalla prospettiva di un coetaneo, è un film che andrebbe centellinato, talmente sconfortante che solo chi NON ha quell’età (Zhao ha 40 anni) o quei problemi (insomma, Mcdormand è brava, ma certo non avrà bisogno di far lavoretti saltuari) può proporne una visione “senza limitì d’eta”.
Esagerando, direi quasi che andrebbe sconsigliata la visione o, come nei famosi bugiardini dei farmaci, annunciati possibili effetti avversi per chi ha più di 60-65 anni. Poi ...contenti voi.
Eppure Fern (Felce in italiano...insomma quelle piante ancestrali che si riproducono con un sistema non sessuale), a differenza di altri protagonisti, a differenza di molti altri, ovunque, ha una sorella benestante che l’accoglie. Ha qualcuno che la può aiutare. Ad altri non resta che il popolo di nomadland....e fortuna che esiste.
Il contesto
Quello geografico SI conta.
Il popolo di nomadland è un popolo del limbo. Strettamente ne rurale ne urbano. E’ quello dei centri intermedi, dei borghi che si spopolano. Della provincia.
Ma non immaginiamo quella italiana. Gli USA hanno 30 abitanti per km2, l’italia più di 200.
Diversa è invece l’analisi sociale.
Molti hanno usato la triste parabola del film per parlare della solita, addirittura, “tomba del mito americano” o del “fantasma del capitalismo”.
Forse. Io non lo credo.
Credo che il mito americano, o quello della classe media in generale, sia in realtà un’invenzione, bella ma durata poco...nel caso italiano diciamo dagli anni 80 fino ai primi anni 2000??
Ora, per esempio in Italia, pensiamo che tutto ciò sia immutabile. Che l’isola Italia potrà, dovrà, deve tornare ad essere quel vulcano effervescente sempre di nuovi diritti che era negli anni 70 e 80. Ignorando un mondo, miliardi di individui, che scalpita per aver anche lui parte di questi diritti e i loro benefit...e forse non c’è ne posto ne risorse per tutti.
C’è però poi anche l’analisi politica.
Il mito americano, nella tomba o già fantasma, stranamente permette di fare film come questo ad una migrante cinese. Permette a migliaia di nomadland, di girare senza limitazioni.
Non è cosi ovunque. Nelle luminose tirannie a cui forse si ispirano quegli enunciatori della “tomba del mito americano e del capitalismo”, ciò non avviene. Ne si produce il film, ne esistono i nomadland. Semplicemente perchè solo esiste l’oblio.
O andate in Cina o Russia a vedere che succede a quelli che non sono più “utili” alla società.
Date retta. Meglio anche solo aver la prospettiva di poter fare il nomadland, che l’oblio cinese o russo.
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greta martin
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sabato 27 novembre 2021
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alla ricerca di sè
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Nomadland è un film pluripremiato della regista Chloe Zhao. Nel momento della sua uscita fece molto parlare di sé.
Principalmente caratterizzato da una fotografia e una color dalle tonalità fredde, soprattutto negli ambienti esterni, e dalle tonalità calde, in particolar modo dell’interno del suo caravan.
Il suo piccolo e ormai datato caravan era l’unica cosa che gli rimaneva, avendo perso sia il lavoro che il marito, nel 2008, dopo tantissimi anni di duro servizio e vita insieme, la protagonista Fern si è ritrovata completamente da sola, ed è così che cerca di rendere calda e accogliente la sua umile dimora che con amore cerca di migliorare.
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Nomadland è un film pluripremiato della regista Chloe Zhao. Nel momento della sua uscita fece molto parlare di sé.
Principalmente caratterizzato da una fotografia e una color dalle tonalità fredde, soprattutto negli ambienti esterni, e dalle tonalità calde, in particolar modo dell’interno del suo caravan.
Il suo piccolo e ormai datato caravan era l’unica cosa che gli rimaneva, avendo perso sia il lavoro che il marito, nel 2008, dopo tantissimi anni di duro servizio e vita insieme, la protagonista Fern si è ritrovata completamente da sola, ed è così che cerca di rendere calda e accogliente la sua umile dimora che con amore cerca di migliorare.
Il film è costituito da una sceneggiatura impeccabile: toccanti e significativi sono i brevi dialoghi che la protagonista avrà con vecchi conoscenti, la famiglia e i nuovi amici che incontra per strada o nei lavoretti che si appresta a compiere.
Dal contatto con queste poche persone in realtà Fern non cercherà di legarsi, e anzi, nel momento in cui se ne accorge, come nel caso dell’amico Dave, se ne allontana non volendo affezionarsi, consapevole che gli affetti la renderebbero ancora più debole.
D’altronde in tutta la sua interezza fuoriesce una debolezza non tanto caratteriale di Fern, che invece con la sua tenacia non vuole lasciare la realtà a lei cara, ma dimostra invece una debolezza del paese e della società odierna che via via si disinteressa dell’individuo, delle sue necessità umane e dei suoi bisogni primari, ma lo giudica e abbandona: diversi impieghi sono stati negati a Fern solo perché dal suo aspetto e dagli abiti indossati poteva apparire come una nomade.
La società piccolo-borghese mostra di essere sola, priva di sentimenti e in balia del consumismo come esce dalle cene con la sorella o nella famiglia di Dave: la nuora di Dave, una ragazza giovanissima si è sposata con il figlio molto più grande di lei. La tavola è perfettamente imbandita con una quantità di cibo sproporzionata essendo un giorno di festa. Inoltre l’unico vanto di queste famiglie è di tenere delle case che hanno esclusivamente grazie a dei prestiti che gli sono stati forniti dalla banca.
Fern invece non ha debiti, nemmeno verso sé stessa, perché riesce a vivere e a visitare i luoghi che vuole vedere, non rimandando al domani perché il domani potrebbe non venire mai.
Il film quindi, è un inno alla vita, ma anche alla natura che durante tutte e scene è la chiave dominante: distese immense, desertiche che mostrano quanto la natura possa essere avara, ma al contempo piena di vita e significato. Una natura ancora non molto contaminata, proprio perché priva dell’essere umano che invece, non fa altro che deturparla e che non ne ha rispetto, come dimostra una delle mansioni che si ritrova Fern a svolgere, ovvero il raccogliere la spazzatura gettata dai turisti e dalle famiglie.
Il montaggio è molto lento rendendo il film di quasi due ore, non adatto agli spettatori che preferiscono maggiore movimento, ma questo permette di permeare nella realtà e nel pensiero della protagonista.
La colonna sonora è delicatissima e con degli accompagnamenti musicali al pianoforte di Ludovico Einaudi che riescono a dare maggiore ritmo e trasporto all’interno delle scene.
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alberto antonelli
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domenica 7 novembre 2021
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il futuro sarà anche peggiore.
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Il primo spettacolo che finalmente torniamo a goderci è Nomadland con la straordinaria performance di Frances McDormand. E’ proprio così, se molti altri film scompaiono evaporando lentamente come all’evidenza della terza età, quelli di Frances restano aggrappati saldamente tra i migliori ricordi delle narrazioni cinematografiche. Indimenticabile lo é nel carattere di un personaggio tragico, vitale e realistico la cui vicenda conduce nel cuore della storia sociale Americana degli ultimi quarant’anni: il declino della grande industria automobilistica del midwest, gli scandali finanziari di Wall Street e di una politica miope e criminale che insieme hanno segnato la fine della classe media, contribuendo in definitiva ad accompagnare alla tomba il cadavere del mito americano.
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Il primo spettacolo che finalmente torniamo a goderci è Nomadland con la straordinaria performance di Frances McDormand. E’ proprio così, se molti altri film scompaiono evaporando lentamente come all’evidenza della terza età, quelli di Frances restano aggrappati saldamente tra i migliori ricordi delle narrazioni cinematografiche. Indimenticabile lo é nel carattere di un personaggio tragico, vitale e realistico la cui vicenda conduce nel cuore della storia sociale Americana degli ultimi quarant’anni: il declino della grande industria automobilistica del midwest, gli scandali finanziari di Wall Street e di una politica miope e criminale che insieme hanno segnato la fine della classe media, contribuendo in definitiva ad accompagnare alla tomba il cadavere del mito americano. Anche l’America è molto cambiata, non è più leader nemmeno in politica estera e il carattere egocentrico del suo popolo le ha impedito di notare il cambiamento che avveniva principalmente oltre i suoi confini.
Fern diviene un simbolo potente, l’archetipo del cittadino accusato, processato e condannato dinanzi al tribunale del capitale ed alle leggi implacabili dei mercati globali. Oltre la perdita dell’abilità giovanile, di un orizzonte incerto nascosto dai fumi della catastrofe ambientale annunciata, le resta soltanto la strenua volontà di sopravvivere attraverso la ritrovata socialità dei compagni di sventura che ne condividono avversità, senilità e stenti. Lasciamo la sala con un profondo senso di privazione. Tuttavia c’è una riflessione che chiede di essere ascoltata, al cui carattere di urgenza non possiamo sottrarci. L’idea tormentosa della dualità del personaggio/interprete dinanzi al problema sollevato dal film: Il contrasto stridente fra ogni opulenza – anche quella Hollywoodiana - e l’indigenza delle donne e uomini di cui si racconta, ripropone il dilemma dell’incontro/scontro fra chi ha troppo e chi non ha nulla. Per coloro che prediligono lo spettacolo di evasione, vorrei insistere sulla qualità delle pellicole che stimolano il ragionamento ed il pensiero critico, una prerogativa che aiuta a compiere scelte più consapevoli.
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venerdì 13 agosto 2021
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con pregiudizi si può fare un bel film, ma...
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Paola, Nomaland è un film tecnicamente buono con protagonista bravissima, ecc., ma ispirato a tutte le balle antiamericane dalla pluridecennale propaganda di sinistra (in USA non ci sarebbero assistenza né sanità pubblica, ecc. Ma la spesa assistenziale e sanitaria statale americana in percentuale del PIL è più alta che in Europa. Quindi i sinistri fanno finta di non saperlo e vanno avanti con i loro bla bla bla. Per cui se in America governassero i comunisti (travestiti di “politicamente corretti”) tutti là sarebbero felici e contenti (come da noi!!! ). Tu hai fatto una tiritera senza preoccuparti minimamente di accennare a questo piccolo dettaglio.
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emanuele 1968
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giovedì 12 agosto 2021
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un film difficile
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Forse il richiamo ad un senso di liberta, lavori saltuari e girare il mondo come un senzatetto, mah, il film e bello, paesaggi mozzafiato, ma personalmente difficile, concordo con varie recensioni. Credevo che ora bastava solo la mascherina e green pass per accedere al cinema.....invece purtroppo bisogna dare ancora il n di cellulare alla cassa nella speranza che non venga "venduto a terze parti"
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felicity
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mercoledì 30 giugno 2021
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l’america di chi ha scelto di vivere ai margini
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Nomadland è il fantasma del capitalismo, l’ombra di un sogno che non si è mai concretizzato, l’immagine di una terra ricca di opportunità che si è dissolta. Zhao restituisce dignità alla provincia, esalta il legame tra uomo e natura. Con sguardo da documentarista, cattura i volti di chi non vuole restare indietro, di chi sceglie di non fermarsi.
Tanti primi piani, i racconti di solitudini diverse, che provano a fare comunità in mezzo al deserto. La musica di Ludovico Einaudi, il viso scavato di Frances McDormand, sono i tasselli di un mosaico che cattura la quotidianità di chi è rigettato dal sistema.
È un western senza pistole.
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Nomadland è il fantasma del capitalismo, l’ombra di un sogno che non si è mai concretizzato, l’immagine di una terra ricca di opportunità che si è dissolta. Zhao restituisce dignità alla provincia, esalta il legame tra uomo e natura. Con sguardo da documentarista, cattura i volti di chi non vuole restare indietro, di chi sceglie di non fermarsi.
Tanti primi piani, i racconti di solitudini diverse, che provano a fare comunità in mezzo al deserto. La musica di Ludovico Einaudi, il viso scavato di Frances McDormand, sono i tasselli di un mosaico che cattura la quotidianità di chi è rigettato dal sistema.
È un western senza pistole. I personaggi hanno la pelle bianca, ma potrebbero essere indiani. La loro riserva è tutto ciò che sta al di fuori dai canoni, dai grattacieli delle metropoli. Trovano una loro quiete la sera intorno al fuoco, come stanchi cowboy sempre in fuga da qualcosa. Sono inseguiti dai ricordi, che da memoria personale diventano coscienza collettiva.
Nomadland è un potente affresco su un’America nascosta, dove la desolazione del paesaggio si fonde con le anime lacerate dei viaggiatori.
Non c’è il mito della frontiera, non c’è la corsa all’oro, non c’è un luogo da raggiungere. C’è proprio l’idea della vita come viaggio, reale e simbolico: i camper si rompono, esattamente come le persone si ammalano. La natura consola, un paesaggio al tramonto può commuovere, ma il freddo può anche ucciderti.
È un film di battaglie spesso perdute, dove gli unici datori di lavoro disposti a pagare appartengono alla cosiddetta gig economy e l’esasperazione del consumismo sembra essere la sola via di uscita. Quindi Zhao mostra chi ha meno, chi non può e non vuole accumulare.
La cineasta sottolinea la fermezza, l’impossibilità di cambiare dell’essere umano attaccato ai suoi valori. A suo modo invoca una riconciliazione: mette a tacere un mondo frenetico, e cerca il silenzio, cerca un po’ di onestà in un West senza più miti né speranze.
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tunaboy
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lunedì 28 giugno 2021
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recensione nomadland
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Dopo mesi di astinenza, finalmente ieri sono riuscito a tornare al cinema. E quale film sarei potuto andare a vedere se non il vincitore dell’ambito premio Oscar al Miglior Film?
“Nomadland”, diretto da Chloé Zhao, è lo struggente testamento di un’America nascosta ed abbandonata, troppo spesso ignorata dai media internazionali ma anche locali.
Per le quasi due ore del film seguiremo Fern, obbligata dalla grande crisi economica del 2008 ad abbandonare la propria casa e a vivere da nomade nel suo sgangherato van, nel suo peregrinaggio negli sconfinati territori del centro degli USA in cerca di qualche lavoro temporaneo che possa sostenerla.
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Dopo mesi di astinenza, finalmente ieri sono riuscito a tornare al cinema. E quale film sarei potuto andare a vedere se non il vincitore dell’ambito premio Oscar al Miglior Film?
“Nomadland”, diretto da Chloé Zhao, è lo struggente testamento di un’America nascosta ed abbandonata, troppo spesso ignorata dai media internazionali ma anche locali.
Per le quasi due ore del film seguiremo Fern, obbligata dalla grande crisi economica del 2008 ad abbandonare la propria casa e a vivere da nomade nel suo sgangherato van, nel suo peregrinaggio negli sconfinati territori del centro degli USA in cerca di qualche lavoro temporaneo che possa sostenerla. Nel suo viaggio, però, farà la conoscenza di diversi personaggi compagni del suo dramma, che, attraverso alcune sequenze di stampo quasi documentaristico, forniscono allo spettatore piccole immagini della loro storia.
Ciò che questa pellicola riesce a fare meglio è rendere estremamente realistica la storia: grazie ad un’impostazione che sembra in molti punti strizzare l’occhio ai grandi documentari della storia, gli innumerevoli personaggi che incontriamo lungo il nostro viaggio risultano così reali che quasi potremmo stringergli la mano dalla nostra poltroncina, rendendoci non più spettatori ma compartecipi del loro dramma.
Il film presenta un livello di maestria tecnica quasi ineccepibile: oltre ad una colonna sonora e ad una fotografia sognanti ed estatiche, oltre a dei dialoghi ed una regia così verosimili e realistici, troviamo una recitazione camaleontica e magistrale, con una Frances McDorman che non interpreta ma diventa il suo personaggio.
Nonostante ciò, purtroppo, il film presenta anche alcuni lati negativi abbastanza prominenti: forse a causa del suo taglio così documentaristico, risulta abbastanza difficile empatizzare con la protagonista. Infatti, è evidente che la regista gli voglia far compiere un complesso viaggio interiore di accettazione della propria condizione, ma a causa di questa mancata empatia ci risulta difficile comprenderlo e, soprattutto, a coglierne le motivazioni, e non ci resta che provare ad intuirle.
Inoltre, sempre per lo stesso motivo, gli atti finali della narrazione risultano (e odio dirlo) noiosi e pesanti: a causa del nostro, appunto, poco investimento nell’evoluzione interiore della protagonista, sommato al ritmo già lento della narrazione stessa, ci troviamo ad assistere agli ultimi venti-trenta minuti del film disinteressati e, addirittura, annoiati.
Per questo motivo credo che “Nomadland” trionfi nel fornirci una meticolosa e realistica narrazione di uno strato sociale invisibile, riuscendo finalmente a portarlo sotto la luce dei riflettori dei media, ma allo stesso tempo fallisca nel creare un racconto col quale empatizzare.
Voto: 3.5/5
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