maopar
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mercoledì 23 maggio 2018
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vita da cani...
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VITA da CANI
Non mi riferisco ai cani.. gli amici dell’uomo.. che nel Film sono amati seguiti con
premurose attenzioni dai proprietari e che trovano in Marcello una comprensione totale …
che con la sua esclamazione “AMORE” accoglie e accudisce… Ma alla vita di branco dove il
più forte prende il sopravvento.
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VITA da CANI
Non mi riferisco ai cani.. gli amici dell’uomo.. che nel Film sono amati seguiti con
premurose attenzioni dai proprietari e che trovano in Marcello una comprensione totale …
che con la sua esclamazione “AMORE” accoglie e accudisce… Ma alla vita di branco dove il
più forte prende il sopravvento.. le regole della sopravvivenza sono drammaticamente comprensibili
odiosamente reali percepite dallo spettatore come una “Morsa”.. che toglie il respiro ..E Garrone
in questo è un Maestro… Ma Marcello addolcisce la storia “ umanizza” questa vicenda.. una coraggiosa
scalata d’Amore per salvare la vita…una discesa nel profondo del mare mano nella mano….
In una realtà complessa dove la necessità condiziona le scelte ..si percepisce l’incertezza della decisione
Più volte Marcello si avvia a destra e poi a sinistra.. cosa fare? Aderire alle richieste di Simone .. e poi Del
Commissario.. Lui uomo buono che pervaso da un laico Vangelo d’Amore .. sceglie le strade più difficili..
Come quando porta alla madre la “belva “ ferita e… fa si che noi spettatori assistiamo a una scena
Centrale del film la disperazione di un abbraccio fra madre e figlio consapevoli nel loro amore
Di una realtà difficile da contrastare…
E dopo un anno di carcere.. una lezione da dare a Simone per pretendere le scuse.. e per poi chiuderla
qui!.. Ma l’imprevedibile esplosione della cattiveria…prende il sopravvento…cosa farne di questa
drammatica fine.. bruciare tutto e nasconderla o parteciparla …
Accucciato davanti a quella non voluta “preda” attende confuso il risveglio del Branco…
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[+] il film è un capolavoro
(di francesca)
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ale
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lunedì 1 ottobre 2018
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dogman: ottimo garrone, grandissimo marcello fonte
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Non si riesce a rimanere indifferenti dopo aver visto Dogman, ultimo film di Matteo Garrone, osannato normalmente oltreAlpe e poco ancora conosciuto dal pubblico italiano.
Dogman colpisce e lo fa in maniera fulminea perche' la storia di Marcello, baraccato del Mandrione (l'attore Marcello Fonte) e' una storia oscura della nostra Italia, mai digerita come in realta' non si dovrebbe fare.
Lo stesso Pasolini, a cui ad ogni istante del film ho pensato, aveva scritto in questo modo il Mandrione:
”Ricordo che un giorno passando per il Mandrione in macchina con due miei amici bolognesi, angosciati a quella vista, c’erano, davanti ai loro tuguri,
a ruzzare sul fango lurido, dei ragazzini, dai due ai quattro o cinque anni.
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Non si riesce a rimanere indifferenti dopo aver visto Dogman, ultimo film di Matteo Garrone, osannato normalmente oltreAlpe e poco ancora conosciuto dal pubblico italiano.
Dogman colpisce e lo fa in maniera fulminea perche' la storia di Marcello, baraccato del Mandrione (l'attore Marcello Fonte) e' una storia oscura della nostra Italia, mai digerita come in realta' non si dovrebbe fare.
Lo stesso Pasolini, a cui ad ogni istante del film ho pensato, aveva scritto in questo modo il Mandrione:
”Ricordo che un giorno passando per il Mandrione in macchina con due miei amici bolognesi, angosciati a quella vista, c’erano, davanti ai loro tuguri,
a ruzzare sul fango lurido, dei ragazzini, dai due ai quattro o cinque anni. Erano vestiti con degli stracci: uno addirittura con una pelliccetta trovata chissà dove come un piccolo selvaggio.
Correvano qua e là, senza le regole di un giuoco qualsiasi: si muovevano, si agitavano come se fossero ciechi, in quei pochi metri quadrati dov’erano nati e dove erano sempre rimasti, senza conoscere altro del mondo se non la casettina dove dormivano e i due palmi di melma dove giocavano. Vedendoci passare con la macchina, uno, un maschietto, ormai ben piantato malgrado i suoi due o tre anni di età, si mise la manina sporca contro la bocca, e, di sua iniziativa tutto allegro e affettuoso ci mandò un bacetto. […] La pura vitalità che è alla base di queste anime, vuol dire mescolanza di male allo stato puro e di bene allo stato puro: violenza e bontà, malvagità e innocenza, malgrado tutto.
(Pier Paolo Pasolini, “Vie Nuove”, maggio 1958)”
Consiglio Dogman perché una storia vera, un orrore vero di cronaca di vita perché “violenza e bontà, malvagità e innocenza, malgrado tutto”.
È LA STORIA di Simone, un pugile fallito cocainomane e di Marcello, che di mestiere fa la toiletattura per cani.
Mentre Simone vive di furterelli, Marcello cerca di crescere la figlia come se tutto fosse normale intorno a loro, come se fosse in un sogno...
Ecco che Simone va da Marcello, che in realtà è uno spacciatore, uno spacciatore “per bene però” perché si preoccupa di cosa pensi la gente di lui; Marcello non fa che dirgli, dopo avergli dato la roba, non qui, di la c’è mia figlia...
È si arriva all’epilogo e quello che continuo a pensare è a quel filone di neorealismo che dopo la guerra portò il cinema italiano a sbancare gli OSCAR.
Sarà così stavolta ????
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alesimoni
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venerdì 1 giugno 2018
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canaro da oscar
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Un capolavoro. Garrone ci regala un’opera meravigliosa facendoci provare allo stesso tempo empatia, rabbia, compassione e voglia di vendetta. Il tutto raccontato da un’incredibile fotografia cupa e asciutta che esalta e accompagna l’emotivita delle sequenze. Come non affezionarsi all’indifeso,genuino,vessato, donatore di amore e grandioso canaro?! Garrone ci accompagna per mano facendoci vivere la sua metamorfosi da vittima a carnefice vendicatore con naturalezza fino alla magnifica e struggente sequenza finale. Garrone ha preso spunto da questo fatto di cronaca per esplorare il Senso della vendetta, coglierne il significato e analizzarne le cause e soprattutto le conseguenze su chi la compie, per questo mi ha ricordato Old Boy.
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Un capolavoro. Garrone ci regala un’opera meravigliosa facendoci provare allo stesso tempo empatia, rabbia, compassione e voglia di vendetta. Il tutto raccontato da un’incredibile fotografia cupa e asciutta che esalta e accompagna l’emotivita delle sequenze. Come non affezionarsi all’indifeso,genuino,vessato, donatore di amore e grandioso canaro?! Garrone ci accompagna per mano facendoci vivere la sua metamorfosi da vittima a carnefice vendicatore con naturalezza fino alla magnifica e struggente sequenza finale. Garrone ha preso spunto da questo fatto di cronaca per esplorare il Senso della vendetta, coglierne il significato e analizzarne le cause e soprattutto le conseguenze su chi la compie, per questo mi ha ricordato Old Boy. Marcello Fonte è semplicemente superlativo nel dar vita a questo fantastico personaggio con la sua purezza e tristezza. Un plauso anche all’irriconoscibile Simoncino di Edoardo Pesce. Speriamo che ci rappresenti agli Oscar.
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dariobottos
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sabato 4 agosto 2018
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homo homini canis
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Il cane è il compagno fedele del suo padrone, anche se questo lo maltratta. Il cane ha bisogno del suo padrone capobranco. Il cane, anche se piccolo, anche se ridotto dalla selezione ad un animale buffo, può rivelare la sua antica natura di lupo che ringhia ed azzanna... per poi cercare di nuovo un padrone, o un branco accogliente.
Marcello è un uomo-cane ("dogman"), Marcello ha bisogno della benevolenza del branco (la degradata comunità in cui vive e lavora con la toelettatura per cani), ha bisogno di un capobranco (il violento e drogato Simone, con cui ha un rapporto simbiotico di complementarietà). Il dolce e fragile Marcello si eleva sopra i suoi abbrutiti paesani perchè cerca amore (dalla figlia Sofia, mentre la madre - separata? - lo ignora), benevolenza e amicizia o almeno non-ostilità (dal gruppo), sudditanza al limite del masochismo (dall'ex pugile Simone, bullo che taglieggia quel quartiere di una improbabile e allucinata periferia rugginosa e decrepita in riva al mare).
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Il cane è il compagno fedele del suo padrone, anche se questo lo maltratta. Il cane ha bisogno del suo padrone capobranco. Il cane, anche se piccolo, anche se ridotto dalla selezione ad un animale buffo, può rivelare la sua antica natura di lupo che ringhia ed azzanna... per poi cercare di nuovo un padrone, o un branco accogliente.
Marcello è un uomo-cane ("dogman"), Marcello ha bisogno della benevolenza del branco (la degradata comunità in cui vive e lavora con la toelettatura per cani), ha bisogno di un capobranco (il violento e drogato Simone, con cui ha un rapporto simbiotico di complementarietà). Il dolce e fragile Marcello si eleva sopra i suoi abbrutiti paesani perchè cerca amore (dalla figlia Sofia, mentre la madre - separata? - lo ignora), benevolenza e amicizia o almeno non-ostilità (dal gruppo), sudditanza al limite del masochismo (dall'ex pugile Simone, bullo che taglieggia quel quartiere di una improbabile e allucinata periferia rugginosa e decrepita in riva al mare). Ma rimane travolto dagli eventi, distrutto nel fisico e nello spirito da Simone. Diventa suo malgrado un cane che ringhia e che morde, con un esito che gli scappa di mano: ordisce una vendetta su Simone, vorrebbe semplicemente umiliarlo, o meglio farsi chiedere scusa per i patimenti sofferti per causa sua. Patimenti che lo hanno suo malgrado reso un paria entro quella comunità di cui cercava l'accettazione, l'affetto. Invece succede che per evitare la propria morte uccide fortunosamente Simone. Potrebbe essere che dal male nasce il suo bene, che ora la comunità lo riaccolga come un liberatore: ma la comunità non c'è, gli sfugge, e lui resta solo con il suo destino e con un cadavere sulle spalle.
Film tragico, apocalittico, "Gomorra" in chiave simbolica. Una musica quasi alla Vangelis, una fotografia iperrealista su paesaggi dallo squallore distopico, rimandano forse ai paesaggi acquitrinosi di "Blade Runner", anche se la fantascienza non c'è, c'è forse il grottesco favolistico de "Il racconto dei racconti". Guai se non fosse un grottesco favolistico, non ci sarebbe via di fuga, non ci sarebbe redenzione.
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carloalberto
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sabato 19 maggio 2018
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garrone, l'omero contemporaneo
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Quello di Garrone è un cinema tridimensionale, dove i personaggi prendono corpo e saltano fuori dallo schermo per accompagnarti fino a casa, lasciandoti addosso un’angoscia straziante, come in Gomorra e in Reality, sono più veri degli uomini della cronaca cui si ispirano, perché hanno il carattere dell’universalità. La cronaca muore ogni giorno, la poesia resta. Chi ricorda la vita degli abitanti di Troia o di Itaca? Priamo ed Ulisse, invece, sono qui presenti dopo migliaia di anni. Garrone, l’Omero contemporaneo, sta scrivendo la mitologia dei nostri giorni. Renderà immortali il senso di vuoto e la disperazione di un popolo senza identità costretto nella periferia del mondo a rincorrere sogni impossibili di riscatto sociale mediante strumenti che lo porteranno alla rovina.
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Quello di Garrone è un cinema tridimensionale, dove i personaggi prendono corpo e saltano fuori dallo schermo per accompagnarti fino a casa, lasciandoti addosso un’angoscia straziante, come in Gomorra e in Reality, sono più veri degli uomini della cronaca cui si ispirano, perché hanno il carattere dell’universalità. La cronaca muore ogni giorno, la poesia resta. Chi ricorda la vita degli abitanti di Troia o di Itaca? Priamo ed Ulisse, invece, sono qui presenti dopo migliaia di anni. Garrone, l’Omero contemporaneo, sta scrivendo la mitologia dei nostri giorni. Renderà immortali il senso di vuoto e la disperazione di un popolo senza identità costretto nella periferia del mondo a rincorrere sogni impossibili di riscatto sociale mediante strumenti che lo porteranno alla rovina. Garrone parla dell’Italia, ma la desolazione delle sue periferie potrebbe essere quella di Caracas o di Nuova Delhi. La sua è una periferia ormai globalizzata. Il fatto di cronaca passa in secondo piano, il canaro, come Pelosi all’Idroscalo tredici anni prima, probabilmente fu complice di un delitto più grande di lui. Ma questa è un’altra storia. Forse, perché si evocano le periferie, e non si può non pensare a quelle descritte con crudo realismo da Pasolini e ora trasfigurate in simboli da Garrone. Ma è passato mezzo secolo, oramai tutto è compiuto e lo sguardo perso nel vuoto esistenziale di Dogman, nel finale, come quello del protagonista di Reality, non lascia spazio a quella flebile speranza di redenzione che compare nello sguardo di Accattone morente.
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andrea damiani
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martedì 22 maggio 2018
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il disumano e il nulla di andrea damiani
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Matteo Garrone si ispira ad una ben nota vicenda di cronaca nera per realizzare una pellicola dai tratti fortemente drammatici, dove però trovano spazio anche i sentimenti, sebbene imprigionati all'interno di una realtà sostanzialmente misera e degradata. Marcellino e Simone sono, rispettivamente, il protagonista e l'antagonista della storia: il primo è mite, benevolo, ben accetto da tutti; il secondo, invece, a causa dei suoi continui eccessi, degli abusi e delle prepotenze è diventato un problema anche per gli abitanti di un quartiere degradato come quello in cui la vicenda si svolge. Entrambi sono cocainomani, integrati nel mondo della piccola criminalità, fatta di furti, rapine e spaccio ; ma mentre per Simone l'alienazione è oramai totale, tanto che non è più capace di relazione alcuna con il prossimo, Marcello è invece capace di sentimenti profondi, rivolti in primo luogo alla sua figlioletta e, ovviamente, agli animali con cui lavora (è, come si evince dal titolo del film, una sorta di dogsitter).
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Matteo Garrone si ispira ad una ben nota vicenda di cronaca nera per realizzare una pellicola dai tratti fortemente drammatici, dove però trovano spazio anche i sentimenti, sebbene imprigionati all'interno di una realtà sostanzialmente misera e degradata. Marcellino e Simone sono, rispettivamente, il protagonista e l'antagonista della storia: il primo è mite, benevolo, ben accetto da tutti; il secondo, invece, a causa dei suoi continui eccessi, degli abusi e delle prepotenze è diventato un problema anche per gli abitanti di un quartiere degradato come quello in cui la vicenda si svolge. Entrambi sono cocainomani, integrati nel mondo della piccola criminalità, fatta di furti, rapine e spaccio ; ma mentre per Simone l'alienazione è oramai totale, tanto che non è più capace di relazione alcuna con il prossimo, Marcello è invece capace di sentimenti profondi, rivolti in primo luogo alla sua figlioletta e, ovviamente, agli animali con cui lavora (è, come si evince dal titolo del film, una sorta di dogsitter). I sentimenti di Marcello, tuttavia, nonostante la loro purezza, non riusciranno a redimerlo, né a condurlo al di fuori della miseria in cui, un po' per scelta e un po' per destino, si è ritrovato a vivere: la fuga è solo sognata, mai veramente progettata. Interessante anche, a livello drammatico, il rapporto dialettico, il contrasto (anche fisico) fra Marcello e Simone, che finisce per essere il collante della loro simbiosi. Marcello è talmente "idiota" (nel senso dostoieskiano del termine) da acconsentire al piano di Simone (rapinare il negozio accanto a quello del dogsitter) e da scontare, al suo posto, un anno di galera; poi, una volta uscito di prigione, non può far altro che constatare che l' "amico" non gli ha riservato né riconoscenza né (come gli aveva promesso) metà del bottino. Inoltre, l'affetto che tutti quanti gli riservavano, è ormai tramutato in disprezzo, essendo Marcellino considerato un "infame". All'ennesimo sopruso, all'ennesima umiliazione da parte dell'amico, Marcello escogita la sua vendetta: attrae Simone nel suo negozio con un pretesto, lo chiude in una gabbia per cani e infine, con molta difficoltà, lo uccide. Il corpo viene caricato a fatica su un furgoncino, scaricato in un campo e dato alle fiamme. Qui, la lucidità del protagonista inizia a venire meno; nella sua anima si sente un eroe, colui che è riuscito a compiere il gesto glorioso che nessuno aveva avuto il coraggio di fare. Davide contro Golia. Così egli pensa di ottenere finalmente il rispetto degli ex-amici (che vede giocare in un campo di calcetto); con uno sforzo sovrumano, portando sulle spalle il corpo semicarbonizzato di Simone, da esibire come un trofeo a un pubblico plaudente, Marcello potrà finalmente ottenere il suo riscatto. Ma il tutto si rivela come una inutile illusione. Il suo trionfo è circondato da una cornice di puro nulla, perché il nulla è il contesto che ha permesso l'avvicendarsi della storia. Una nullità era Simone, una nullità gli abitanti del quartiere, una nullità lui stesso. Eroe del niente, rimane con il suo trofeo, in una solitudine in cui il dis-umano ha ormai cancellato ogni umanità.
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loland10
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domenica 27 maggio 2018
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cani e (eco)mostri
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“Dogman” (2018) è il nono lungometraggio del regista romano Matteo Garrone.
Siamo nell’estrema periferia, luogo adibito ad un set già conosciuto, verso il litorale scarno, oscuro, tetro e assolutamente grigio in tutto del ‘Coppola’ (ecomostro e non solo). Tra un notturno e un bluastro offuscato, tra una piazza avvilente e dei visi scolpiti, tra un mesto servizio e una recondita vita senza speranza. In una metastasi completa il gioco si svolge ristretto tra un negozio di toilette per cani (‘dogman’ appunto), una trattoria (spoglia in tutto), un Compro oro (piatto e lugubre) e una disco-slote (addobbata a zero).
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“Dogman” (2018) è il nono lungometraggio del regista romano Matteo Garrone.
Siamo nell’estrema periferia, luogo adibito ad un set già conosciuto, verso il litorale scarno, oscuro, tetro e assolutamente grigio in tutto del ‘Coppola’ (ecomostro e non solo). Tra un notturno e un bluastro offuscato, tra una piazza avvilente e dei visi scolpiti, tra un mesto servizio e una recondita vita senza speranza. In una metastasi completa il gioco si svolge ristretto tra un negozio di toilette per cani (‘dogman’ appunto), una trattoria (spoglia in tutto), un Compro oro (piatto e lugubre) e una disco-slote (addobbata a zero). Pellicola vagamente ispirata al 'canaro' della Magliana, con personaggi simili ma con deviazioni e strade diverse. Una storia estrema dove regna il contatto amorale e violento, un essere vivo per disgrazia, un parlarsi senza attenzioni, un'amicizia assoggettata è tetra; ecco un mondo fatto di speranze finite e di uno struggente lido che non fa vedere nulla.
Il grigio mare burrascoso e i colori smorti oltre ogni eccesso ma il mare diventa fresco e vivo, colorato e solare con una bambina, Alida, la figlia di Marcello, che esente da colpe, è l'unica presente che ha voglia di uscire dal vero incubo che vede attorno. La moglie di Marcello si gira quando la bambina è presa per mano. Vanno via...dal luogo dell'inferno prima che la tragedia faccia il suo corso.
Film di metastasi quasi completa tra vittima carnefice in un non luogo oramai set per tante pellicole. E ciò che aspetti avviene, non c'è nessuna vera sorpresa, ma l’angoscia e la vile paura ti entrano dentro. Tutto appare distaccato e recondito ma le immagini restano impresse: un immaginario oltremodo cagnesco, oscuro, pestilente e vagamente lavico.
Periferia estrema, vuoto interiore, visi deteriorati e scavi sulle fughe come silenzio di anime negli sguardi scanditi da pupille vagamente roteanti. Linfa asettica e miserie estreme in una periferia (e di ogni estrema periferia) privata di tutto e potente a se stessa.
Deserto di piazza, uno scivolo, una rotonda di cemento, un'altalena, pozzanghere e un lido grigio e offuscato. Miserevolmente senza modi e mode, il cinema inquadra, in modo favolisticamente tragico, il deteriore di un lavaggio per cani, come il finale di una chiosa guerriglia tra capi beceri e linguaggi conclusivi.
Omaggio ad un cinema sociale che si immerge in uno scontro western senza veri duelli e senza vere pistole. Tutto è dentro tra Marcello e Simone, tutto per una sporcizia di mercato drogato, dove il piccolo e indifeso omino dei cani sembra essere protetto e conosciuto, mentre l'omone pieno di s-grazia naturale beve e sniffa dal mercato dell'altro. Chi ama una figlia senza confini e che ama una madre come confinata in casa.
I due sembrano complementari tra un coglionesco e misero modo di vivere come tra un gigione-mento e virulento modo di campare. La vita grama, sfinita, logora e senza passione amicale in un estremo mondo che sembra piovuto dal cielo. Le pozzanghere si lasciano guardare fino al nulla attorno.
Gesto estremo quello di Marcello che per salvare l'amicizia, così gli pare, la vita attorno a lui, il suo lavoro è quello che rimane della dignità, cioè nulla o quasi, si fa incarcerare, un anno, per salvare Simone e ciò che vede attorno. Una rapina e un buco, una firma in calce e le sbarre come segno di amicizia.Costo e viltà, paura è un po' di coraggio ridestano la voglia di una vendetta a capo di se stesso.
Marcello e Simon(e)cino, un uomo che chiama ‘amore’ qualsiasi cane e un ex-boxeur che non ha da chiamare nessuno, un vile che vuole farsi accettare e un duro che abbraccia la madre come per liberarsi di colpe. Un cordone ombelicale unisce tutti: paravento è la bustina, la piccola dose e le corse in moto come segno del mito.In luoghi chiusi e privi di luce, fino alla fine quando il fuoco vorrebbe espiare una colpa. Il grido di Marcello verso i suoi amici nel campetto di calcio, in un notturno da sfida, vuole silenzio e disperazione. Nessuno ascolta perché nessuno è lì: solo i mostri dentro i cervelli fusi di una sfida angosciante. Ecco che la postura piccolo-grande, omino-omone pare una zattera di salvataggio in un turpiloquio di immagini aride, scosse e spente. In ultimo il suo osservare il corpo, il suo vivere nella morte e il gesto di una miseria senza uscita. Non è un tunnel di salvataggio ma l’affogo (totale) in un mare in tempesta (spento di saette).
Aria senza ossigeno, animali da servire, esposizione in fiera, gare di taglio, abbellimento vacuo per piacere ad una figlia. E il ‘dogman’ ride di se stesso, con poco e senza nessun gusto. E’ il lavaggio dei cani (con un cellulare invisibile) che desta memoria, è il luogo dei destini che entra dentro come delle viscere.
Niente separa i due, nulla divide i loro corpi neanche una gabbia per cani. Catene e sangue, pressa e spalle, ammanto e fuoco: la silhouette del passo con la morte in spalla desta ribrezzo e discesa putrida come spirale in canna. Uno sguardo del regista come feticcio di ieri e dell’oggi presente. Senza nessuna compiacenza e con un distacco macabro alquanto violento.
Marcello Fonte (Marcello) non recita ma si muove con un destino già segnato: interpretazione che gli è valso il premio a Cannes; Edoardo Pesce (Simoncino) sembra ‘palla di lardo’ di kubrickiana memoria. Il tragico sfiora in parvenza il ridicolo iperbolico in modi favolisticamente inespressi. Un qualcosa di impercettibile e (forse) mai cosi vicino. Regia di Matteo Garrone senza compiacimenti, lontana e misera, poco accomodante e inerme.
Voto: 7½/10 (***½).
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penna e calamaio
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domenica 16 giugno 2019
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il buono ,il cattivo , il regista
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Senza andare a snocciolare ogni singolo evento narrato ,qui c'è sostanzialmente un rapporto di pseudoamicizia tra una persona buona, mite ,quasi arrendevole ed un'altra che è l'esatto opposto di quanto descritto.
Secondo voi a cosa può portare tutto questo?
Ho fatto questa premessa per farvi capire che Garrone non racconta nulla di nuovo, tuttavia lo fa con un'eleganza fuori dal comune, con un'ambientazione da Oscar nella sua semplicità e con interpreti scelti come meglio non si poteva a cominciare dall'aspetto fisico.
Tutto è studiato nei minimi dettagli e nulla è lasciato al caso.
Il finale non mi è piaciuto particolarmente e per lunghi tratti ho percepito cosa sarebbe accaduto da lì a poco ,ma sicuramente posso affermare di aver visto cinema di qualità .
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Senza andare a snocciolare ogni singolo evento narrato ,qui c'è sostanzialmente un rapporto di pseudoamicizia tra una persona buona, mite ,quasi arrendevole ed un'altra che è l'esatto opposto di quanto descritto.
Secondo voi a cosa può portare tutto questo?
Ho fatto questa premessa per farvi capire che Garrone non racconta nulla di nuovo, tuttavia lo fa con un'eleganza fuori dal comune, con un'ambientazione da Oscar nella sua semplicità e con interpreti scelti come meglio non si poteva a cominciare dall'aspetto fisico.
Tutto è studiato nei minimi dettagli e nulla è lasciato al caso.
Il finale non mi è piaciuto particolarmente e per lunghi tratti ho percepito cosa sarebbe accaduto da lì a poco ,ma sicuramente posso affermare di aver visto cinema di qualità .
Sono convinto che fra un paio d'anni il regista ci regalerà un capolavoro italiano di quelli "pesanti ".
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great steven
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giovedì 27 agosto 2020
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essenza di garrone nel distopico mondo suburbano.
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DOGMAN (IT/FR, 2017) diretto da MATTEO GARRONE. Interpretato da MARCELLO FONTE, EDOARDO PESCE, ADAMO DIONISI, NUNZIA SCHIANO, ALIDA BALDARI CALABRIA, FRANCESCO ACQUAROLI, GIANLUCA GOBBI.
Marcello ha due grandi amori: la figlia Alida e i cani che accudisce con la sua dolcezza di uomo mite e gentile nel proprio negozio di toelettatura, Dogman. Nel sobborgo della periferia romana in cui vive, c’è, proprio accanto al suo negozio, un "compro oro" e la sala biliardo-videoteca, frequentata dall’uomo-simbolo che, insieme ai luoghi, esibisce più apertamente il degrado italiano degli ultimi decenni: l’ex pugile Simone, che terrorizza con la sua prepotenza e le sue continue scorribande l’intero quartiere.
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DOGMAN (IT/FR, 2017) diretto da MATTEO GARRONE. Interpretato da MARCELLO FONTE, EDOARDO PESCE, ADAMO DIONISI, NUNZIA SCHIANO, ALIDA BALDARI CALABRIA, FRANCESCO ACQUAROLI, GIANLUCA GOBBI.
Marcello ha due grandi amori: la figlia Alida e i cani che accudisce con la sua dolcezza di uomo mite e gentile nel proprio negozio di toelettatura, Dogman. Nel sobborgo della periferia romana in cui vive, c’è, proprio accanto al suo negozio, un "compro oro" e la sala biliardo-videoteca, frequentata dall’uomo-simbolo che, insieme ai luoghi, esibisce più apertamente il degrado italiano degli ultimi decenni: l’ex pugile Simone, che terrorizza con la sua prepotenza e le sue continue scorribande l’intero quartiere. Con Marcello questo bullo che umilia e intimidisce i negozianti ha un rapporto simbiotico, simile a quello fra squalo e pesce pilota. Il dog-sitter gli procura esagerate quantità di cocaina e riceve una minima parte del bottino derivante dai "colpi". Quando Simone sceglie il negozio di Marcello come base per la prossima rapina, il povero dog-sitter, piuttosto che ammettere la colpevolezza dell’amico che però lo ha tratto in inganno, preferisce non firmare il documento che lo condannerebbe e si fa un anno di galera al posto suo. Stufo dell’irriconoscenza arrogante di Simone e del suo strapotere sempre in aumento, Marcello deciderà di rompere la sua sudditanza nei confronti dell’ex pugile, programmando quieto una vendetta dall’esito insperato che farà saltare irrimediabilmente ogni equilibrio. Liberamente ispiratosi a uno dei casi di cronaca nera più cruenti della nostra storia recente, la vicenda del Canaro della Magliana, Garrone racconta un’Italia diventata terra di nessuno in cui cane mangia cane, complice l’abbrutimento culturale e sociale che ha allontanato i cittadini non solo dal benessere, ma anche dalla solidarietà umana più elementare. Garrone depura la vicenda del Canaro dalla sua componente meramente oscena, ovvero la spettacolarizzazione, arrivando a desaturare la palette di colori delle sue inquadrature di desolazione suburbana – ottima la fotografia di Nikolaj Bruël, premiata col David di Donatello 2019 –, dei quali sfuma i margini ed evidenza l’essenza. Il regista costruisce una narrazione disperante restituendo una drammatica dignità ferita ai personaggi. Non finisce certo in secondo piano una rappresentazione non mitizzata (e qui gli sceneggiatori han fatto una scelta oltremodo oculata) della lotta fra Ulisse e Polifemo, del trionfo di Davide su Golia. Il dog-sitter è un ometto mingherlino il cui aspetto induce quasi per forza al pensiero che in lui alberghi più affabilità che propensione alla violenza, mentre la stazza mastodontica del boxeur in pensione ne disvela un animo dominato da malvagità e brutalità, pronte a scatenarsi ad ogni miccia che viene appiccata. Altrettanto importante è l’attenzione agli sguardi e alla recitazione: dimensioni da fantino e leggerezza da acrobata circense per Marcello Fonte, dalla cui interpretazione scaturisce luminosità, mentre dall’altro lato troviamo un irriconoscibile e gigantesco Edoardo Pesce i cui occhi comunicano l’opacità e la devastazione dei sogni falliti e l’attaccamento gravitazionale a una realtà andata a male. Lo scontro fra i due che man mano diviene più aggressivo e perdona sempre meno i torti fa tirare fuori ad entrambi il peggio di sé, con Marcello che frantuma la motocicletta di Simone; Simone che lo massacra di botte quando scopre che il suo motociclo è passato sotto i colpi di un piede di porco. Insomma, un continuo andirivieni di vendette implacabili in perfetto stile virile e mascolino, che compendia il traslucido momento omeostatico dell’inizio per degenerare nel combattimento conclusivo in cui il ciclopico malvivente ha il collo circondato da una catena e strozzerebbe l’avversario con le sue braccia possenti, se questi non pigiasse col piede, fra i singhiozzi e i rantoli, un pedale che gli consente di spezzare al suo nemico l’osso del collo. D’altra parte, l’opera inizia col ringhio di un pitbull da combattimento che produce negli altri cani chiusi in gabbia un’emozione trasecolante e intimorita, il che esplica con grande lucidità il meccanismo di sopraffazione e sottomissione tipico della vita del quartiere. Lo sguardo smarrito di Marcello (M. Fonte, premiato a Cannes 2018 per la migliore interpretazione maschile) in riva al mare, dopo l’ennesima prepotenza subita, è il modo di riconoscersi di un’Italia che ha compreso infine il proprio indelebile status di vittima. Marcello non implode né mette in atto una vendetta efferata e grottesca come quella in cui i quotidiani hanno abbondantemente sguazzato: la sua è una rivalsa tranquilla che si compone pezzo dopo pezzo grazie all’allinearsi dei soprusi patiti in una piramide (o escalation) che si guarda bene dal toccare punte di rabbia pericolose. Svellendo dalla vicenda qualsiasi macchia avvicinabile allo stile dei talk show, Garrone conclude un film meraviglioso lasciandoci un compendio del suo universo cinematografico: come già lo erano state le vele di Scampia in Gomorra (2008), anche in Dogman l’ambiente è un posto non più pensato per gli esseri umani, ma un labirinto adeguato soltanto per le osservazioni entomologiche. I personaggi attraversano con costanza e (sempre) con rassegnazione un luogo orizzontale dove ad innalzarsi sono soltanto le palazzine abusive, mai loro.
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raysugark
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martedì 12 giugno 2018
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dogman
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Il delitto del Canaro ha particolarmente sconvolto le persone per quanto il delitto fosse così macabro, che nessuno si è aspettato che qualcuno potesse riuscire a compiere atti così orribili. Il regista Matteo Garrone si è interessato a sviluppare un film sul delitto, ma ci sono voluti anni a completare la sceneggiatura. Per quanto fosse difficile a completare la sceneggiatura, ci sono stati molti cambiamenti negli anni a venire. Alla fine il regista è riuscito a trovare la sceneggiatura giusta, anche grazie all’aiuto di un’ottimo cast e crew. Infatti il nuovo progetto di Matteo Garrone è propriamente Dogman, che si ispira al delitto del Canaro, con Marcello Fonte ed Edoardo Pesce. La pellicola si incentra su Marcello un uomo mite che ama sua figlia, amando anche i cani che accudisce nel suo negozio di toelettatura Dogman.
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Il delitto del Canaro ha particolarmente sconvolto le persone per quanto il delitto fosse così macabro, che nessuno si è aspettato che qualcuno potesse riuscire a compiere atti così orribili. Il regista Matteo Garrone si è interessato a sviluppare un film sul delitto, ma ci sono voluti anni a completare la sceneggiatura. Per quanto fosse difficile a completare la sceneggiatura, ci sono stati molti cambiamenti negli anni a venire. Alla fine il regista è riuscito a trovare la sceneggiatura giusta, anche grazie all’aiuto di un’ottimo cast e crew. Infatti il nuovo progetto di Matteo Garrone è propriamente Dogman, che si ispira al delitto del Canaro, con Marcello Fonte ed Edoardo Pesce. La pellicola si incentra su Marcello un uomo mite che ama sua figlia, amando anche i cani che accudisce nel suo negozio di toelettatura Dogman. Però ha un torbido rapporto di amicizia con il delinquente violento Simone, al punto che si approfitta di Marcello. Man mano che quest torbida amicizia va avanti, si arriva a una conclusione inaspettatamente sconvolgente. Per quanto il film Dogman si discosta molto dal delitto del Canaro si addentra di più come il protagonista, dalla disperazione libera la sua rabbia vendicandosi contro il delinquente. L’attore Marcello Fonte riesce a dare un’ottima performance, da aver persino vinto il Prix d’interprétation al Festival de Cannes. La fotografia e le inquadrature della pellicola riescono ad addentrarsi, nell’atmosfera del film senza storcere neanche la narrazione della storia. Dogman è uno dei migliori film di Matteo Garrone da non mancare, che allo stesso tempo è uno dei film più duri che sia mai stato fatto.
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