Titolo internazionale | Escape from Mogadishu |
Anno | 2021 |
Genere | Azione, Drammatico |
Produzione | Corea del sud |
Durata | 121 minuti |
Regia di | Ryoo Seung-wan |
Attori | Kim Yun-seok, In-sung Jo, Jun-ho Heo, Kyo-hwan Koo, So-jin Kim Jeong Man-sik. |
MYmonetro | Valutazione: 3,00 Stelle, sulla base di 3 recensioni. |
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Ultimo aggiornamento martedì 26 aprile 2022
Le ambasciate delle due Coree stanno cercando un piano per favorire l'ingresso delle proprie nazioni nell'ONU.
CONSIGLIATO SÌ
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Somalia, 1990. Le ambasciate di Corea del Sud e Corea del Nord ricorrono a ogni mezzo, lecito o illecito, per persuadere il governo del dittatore Siad Barre a favorire l'ingresso della rispettiva nazione nell'ONU: i voti dei Paesi africani costituiscono infatti la maggioranza necessaria e determinante per una risoluzione in questo senso presso le Nazioni Unite. Mentre la diplomazia nordcoreana sembra molto avvantaggiata rispetto all'inesperienza sul piano internazionale del Sud, i capovolgimenti di fronte della ribellione anti-governativa in Somalia sconvolgono gli equilibri e pongono i diplomatici dinanzi a una nuova priorità: sopravvivere nel caos della guerra civile, dove non esistono più regole.
Il titolo internazionale, che appone un "Escape from" al semplice "Mogadishu", strizza chiaramente l'occhio alla cinefilia americana o americanofila e alle sue libere associazioni con celebri action dal titolo "Fuga da...".
A dirigere le operazioni, d'altronde, è il regista da sempre indicato, fra i cineasti sudcoreani, come il più vicino a canoni ed estetica del cinema statunitense, Ryoo Seung-woo. Non ci sono particolari sorprese, quindi, se Escape from Mogadishu pesca a piene mani da titoli come Argo e Black Hawk Down, oltre a riproporre la questione coreana in uno scenario internazionale e multilinguistico, come nel celebre (e assai più riuscito) The Berlin File. Ma se è difficile immaginare un universo in cui senza questi predecessori il film di Ryoo possa anche solo esistere, è altresì vero che il regista cerca di trasformare quelle suggestioni in forme nuove e, al solito, adattarle alle esigenze del mercato locale. Ecco che la dinamica di sotterfugi di Argo, messi in atto per salvare i dipendenti di un'ambasciata, o la guerriglia di strada del film di Ridley Scott diventano una gara di astuzie tra Nord e Sud Corea, che nell'epilogo ripaga il pubblico di amanti dell'azione dopo la stasi del primo e "diplomatico" segmento. In Escape from Mogadishu si rileva il tentativo di uscire dai consueti stereotipi su Nord e Sud - il primo costituito da inflessibili macchine da guerra che non hanno mai conosciuto la libertà, il secondo da cialtroni collerici ma di buon cuore - e di cercare una maggiore presa con il verosimile, se non altro perché la vicenda è tratta da un fatto realmente avvenuto. La consueta parabola che porta Nord e Sud ad accantonare gli annosi contrasti e trovare una soluzione comune, scoprendosi assai più simili di quanto potesse apparire, è gestita con sobrietà e con attenzione ai tempi serrati di un action che concede poco spazio al pensiero (e anche all'approfondimento psicologico dei personaggi).
Coerentemente con una filmografia corposa e divenuta negli ultimi anni sempre più significativa e coesa, Ryoo persegue nuovamente la sua idea, ingenua ma efficace, di unità nella diversità tra Sud e Nord, a costo di esemplificarla con immagini semplici e potenti nello stesso tempo. La scena conclusiva, con i gesti simmetrici delle due delegazioni e la gelida divisione che si ripropone dopo l'unione dei comuni intenti, può essere accusata di retorica ma mantiene un'indubbia forza suggestiva. Pretendere una rappresentazione realistica e scevra da pregiudizi delle forze governative e ribelli somale rimane fuori discussione: siamo di fronte a fordianissime "Ombre nere" che circondano i nostri eroi, ma d'altronde non è che le cose andassero meglio nella visione da videogame del Black Hawk Down di Ridley Scott, ambientato a qualche anno di distanza dai fatti di Escape from Mogadishu. Per Ryoo le ragioni che dividono le truppe governativi di Barre e i ribelli restano secondarie e non spiegate: il punto di vista è unicamente quello dei diplomatici coreani e della loro percezione di un crescente pericolo proveniente dai guerriglieri autoctoni. Ma se si può sorvolare sulla superficialità dell'approccio di Ryoo, resta difficile perdonare il cinismo con cui le auto evitano i cadaveri sul selciato alla stregua di ostacoli di un arcade game. Forse è il prezzo da pagare per godere di un action che tarda a esplodere, ma che infine ripaga con un tripudio di inseguimenti e spari (non manca la soggettiva "hongkonghese" del proiettile che attraversa un parabrezza). Tutto già visto e vissuto, ma gli amanti di Ryoo troveranno un porto sicuro a cui approdare.
Facciamo qualche passo indietro. Nel 2017 usciva nelle sale sudcoreane A Taxi Driver di Jang Hun: un trionfo al botteghino, una serie di successi anche a livello internazionale e un nuovo tassello narrativo e produttivo nella lodevole ricostruzione della storia sudcoreana sul grande schermo. A differenza di tante altre pellicole precedenti, A Taxi Driver sposava pienamente la commedia e le potenzialità [...] Vai alla recensione »
Dopo aver presentato il director's cut del suo Battleship Island (2017) alla 20esima edizione del festival, il maestro dell'action coreano Ryoo Seung-wan torna a Udine con Escape from Mogadishu, spettacolare racconto per immagini di una altrettanto spettacolare storia vera: la fuga del corpo diplomatico coreano - Nord e Sud insieme - dalla capitale somala nel 1991.