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Ultimo aggiornamento giovedì 26 settembre 2019
La polizia di Teheran è sulle tracce di un boss della droga. Dopo varie operazioni l'antidroga riesce ad arrestarlo e l'uomo viene condannato a morte. L'operazione, però, non può fermare il caos di un'intera metropoli. Il film ha ottenuto 1 candidatura a Cesar,
CONSIGLIATO SÌ
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Samad, caposquadra della sezione narcotici della polizia di Teheran, è sulle tracce di un boss della droga, Nasser Khakzad. Dopo varie operazioni e dopo aver faticosamente ricostruito la catena di rapporti che arriva al principale responsabile della gigantesca invasione di droga che ha colpito la città, Samad rintraccia Nasser nel suo attico, dove l’uomo ha tentato il suicidio. Sopravvissuto, Nasser attraversa tutte le fasi del procedimento legale, fino alla condanna a morte e all’esecuzione. Nell’inferno della capitale iraniana, metropoli tentacolare nella quale è andato perso ogni senso di vivere civile, la legge combatte il crimine come nel più classico dei polizieschi, aprendo poco alla volta il baratro delle responsabilità individuali e collettive nella società iraniana.
Che ne è stato della rivoluzione islamica in Iran? Stando ai numeri snocciolati fin dal titolo Sei Milioni e Mezzo si direbbe che si è letteralmente persa in un mare di droga.
6.5, come dice il poliziotto Samad (interpretato dal Peyman Moaadi di Una separazione), sono infatti i tossicodipendenti presenti oggi nel Paese, mentre stando alle dichiarazioni del regista Saeed Roustaee, 10 sono le tonnellate di droga consumata ogni giorno, nonostante gli arresti, le condanne e le esecuzioni. Sei Milioni e Mezzo, concitato nella narrazione e nel sovrapporsi di dialoghi fittissimi, mostra le indagini della polizia di Teheran come il tentativo di risalire gli scalini di un vero e proprio sistema economico: dal consumatore di crack ridotto alla fame allo spacciatore che muore all’insaputa di tutti; dal venditore che lavora per la famiglia al fornitore che a sua volta prende ordini dal produttore… Un sistema a piramide che in realtà si disperde nello spazio immenso della città, attraversata di corsa dai personaggi e dalla macchina da presa fin dalla bellissima scena iniziale e riassunta metaforicamente negli spazi angusti e spaventosamente affollati della stazione di polizia e del carcere, luoghi in cui si disperde ogni individualità o addirittura la distinzione fra uomini di legge e criminali. Il movimento continuo del film (fatto di scontri verbali, folle in rivolta, ribaltamenti di forza fra inseguitori e inseguiti) raffigura la moderna società iraniana come un mondo esploso e fuori controllo. La polizia rincorre i fuorilegge in quartieri desolati, in mezzo a bidonville o strade trafficate, ma non può nulla contro la complessità dei fenomeni economici e sociali. Arrestare, condannare e uccidere non serve; e la religione, nonostante la teocrazia, non è citata una sola volta nel film.
Saeed Roustaee costruisce un poliziesco che recupera in senso letterale il senso civile del genere, guidato dalla razionalità della Legge che prova a mettere ordine nella la realtà. E proprio nella progressiva perdita di controllo del film, che dopo una prima parte serrata si disperde in mille rivoli di storie parallele, sembra replicare lo smarrimento di un Paese e l’impossibilità tutta contemporanea di ricostruire i meccanismi di produzione dell’economia. Il film patisce la deliberata scelta del suo autore, ma grazie alla sua magniloquenza narrativa e visiva (con la scena dell’impiccagione che esemplifica nel suo eccesso l’assolutezza della violenza di Stato) acquisisce un valore che per una volta non può non definirsi politico.
Sei milioni e mezzo sono i tossicodipendenti in Iran, dove si consumano dieci tonnellate di droga al giorno e le forze di polizia non riescono a tenere sotto controllo il traffico illegale in costante aumento. In 135 minuti il lungometraggio del trentenne iraniano Saeed Roustaee, presentato nella sezione Orizzonti di Venezia76, ritrae ambienti e soggetti del narcotraffico a Teheran: dalle baraccopoli [...] Vai alla recensione »