writer58
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martedì 16 gennaio 2024
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la casa del sol levante
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Hirayama si sveglia il mattino presto all’interno di una casa quasi spoglia: solo un futon, una libreria con molte edizioni economiche, decine e decine di audiocassette, un comò, un tavolo basso.
Hirayama si sveglia il mattino e compie sempre gli stessi gesti: si alza, va in bagno, si rade, si veste, innaffia le piante, scende mezzo piano di scale, prende le chiavi da una mensola, apre la porta di casa e guarda la luce del primo mattino. E’ sereno, il volto gli si illumina di contentezza, mentre scorge il profilo delle case e il cielo sopra di lui. Prende un caffè da un distributore automatico, sale su una vettura e s’inoltra nelle strade trafficate che attraversano la gigantesca città di Tokio.
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Hirayama si sveglia il mattino presto all’interno di una casa quasi spoglia: solo un futon, una libreria con molte edizioni economiche, decine e decine di audiocassette, un comò, un tavolo basso.
Hirayama si sveglia il mattino e compie sempre gli stessi gesti: si alza, va in bagno, si rade, si veste, innaffia le piante, scende mezzo piano di scale, prende le chiavi da una mensola, apre la porta di casa e guarda la luce del primo mattino. E’ sereno, il volto gli si illumina di contentezza, mentre scorge il profilo delle case e il cielo sopra di lui. Prende un caffè da un distributore automatico, sale su una vettura e s’inoltra nelle strade trafficate che attraversano la gigantesca città di Tokio. Ascolta la musica, una compilation del rock e del folk degli anni ’70: Lou Reed, Nina Simone, i Velvet Underground, The house of rising sun, magari pensando che nel paese del sole levante, a quell’ora del mattino, è proprio la canzone giusta.
Hirayama inizia il suo giro dei bagni pubblici. Indossa una maglia su cui c’è scritto, in Inglese “the Tokio toilet”. Li pulisce con estrema cura, usando anche uno specchietto per vedere se c’è dello sporco negli angoli più nascosti, li lascia splendenti e immacolati.
Hirayama si concede un sandwich su una panchina del parco come pausa pranzo, prima di riprendere il suo giro. A volte, prima di tornare a casa, si ferma in un bar, dove la padrona lo conosce e gli riserva un trattamento di favore.
Hirayama quasi non parla, non è muto, è in grado di articolare le parole. Ma anche così, sembra procedere per sottrazione. Parla con un bambino che si è perduto e con la nipote che lo viene a trovare dopo anni di separazione, ma anche in quel caso usa meno parole possibili, come se fosse un monaco che ha fatto un voto di silenzio.
Hirayama sembra contento della sua vita, che scorre su binari sempre uguali, con poche esili variazioni, pare aver saldato un debito col passato. Apprendiamo da un’intervista al regista che, in passato, era un uomo di affari che svolgeva un lavoro intenso e stressante e che, a un certo punto, ha deciso di cambiare radicalmente vita.
La ripetizione delle sue giornate, scandite dalle abitudini quotidiane (la narrativa di Faulkner e della Highsmith, la fotografia usando una vecchia macchina degli anni ’90) producono in chi guarda un effetto simile a quello di una melodia che trae forza dalla reiterazione del suo tema centrale inserendo le variazioni dentro un modulo ipnotico che incatena l’attenzione dello spettatore.
E’ un film, come dice lo stesso protagonista (uno splendido Koji Jakuso) centrato sull’adesso, su quello spartiacque virtuale che separa il passato dal futuro, su quel presente che in Occidente e non solo viene eroso da aspettative, fughe in avanti, nevrosi e rimpianti.
Hirajama è un personaggio magnifico: ha un profondo rispetto per gli altri e per il suo ambiente, vive il suo quotidiano con pienezza e, a suo modo, intensità. Ha scoperto che la gioia si alimenta di ciò che è essenziale e che il vuoto è spesso più pregnante dell’accumulazione compulsiva di oggetti, parole, relazione, soldi, beni materiali.
Wenders ha realizzato un film meraviglioso, in linea con la sua produzione migliore. Dopo i documentari Pina e Il Sale della Terra, che sembravano sconfinare nella narrativa, ci regala un’opera di fiction rigorosa come un documentario e, al contempo, poetica.
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[+] mistero
(di samanta)
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(di paolorol)
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nino pellino
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domenica 14 gennaio 2024
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un film che ha diviso il pubblico
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"Perfect days", l'ultima opera cinematografica del regista Wim Wenders ha inevitabilmente diviso il pubblico riguardo i differenti giudizi discordanti che sono stati espressi soprattutto da parte del pubblico. Secondo alcune persone il film è stato di una staticità e di una noia notevoli, ma secondo altre considerazioni, esso è risultato essere particolarissimo, originale e al di fuori di ogni schema convenzionale riguardo il concetto di Cinema inteso come mero strumento di svago e di distrazione per le masse. La storia è quella di un umile e normalissimo uomo giapponese che dedica, con puntualità e precisione quotidiana, la sua vita alla professione di pulitore di bagni pubblici, alzandosi presto la mattina ed effettuando le medesime abitudini prima di recarsi presso i luoghi della sua occupazione.
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"Perfect days", l'ultima opera cinematografica del regista Wim Wenders ha inevitabilmente diviso il pubblico riguardo i differenti giudizi discordanti che sono stati espressi soprattutto da parte del pubblico. Secondo alcune persone il film è stato di una staticità e di una noia notevoli, ma secondo altre considerazioni, esso è risultato essere particolarissimo, originale e al di fuori di ogni schema convenzionale riguardo il concetto di Cinema inteso come mero strumento di svago e di distrazione per le masse. La storia è quella di un umile e normalissimo uomo giapponese che dedica, con puntualità e precisione quotidiana, la sua vita alla professione di pulitore di bagni pubblici, alzandosi presto la mattina ed effettuando le medesime abitudini prima di recarsi presso i luoghi della sua occupazione. Nel tempo libero pomeridiano invece la sua sensibilità e la sua cultura lo hanno spinto da anni a collezionare musica analogica e libri di vario genere. La sua vita non conosce quasi mai novità di rilievo, se non a livello occasionale o sporadico, come quando egli incontra dopo tanto tempo la sua nipotina che desidera pernottare, a causa di un bisticccio familiare, per un certo tempo presso la sua semplice casa, oppure quando rivede anche la propria sorella, madre della piccola, che diversamente da lui vive invece nell'agio e nella ricchezza. E' destinato a rimanere un mistero il passato del protagonista. Dicevo sopra di questo film nelle sue linee generali. Non è pertanto un film facile, e come tale lo si deve inquadrare concettualmente soprattutto come un documentario. Una pellicola che eccezionalmente da voce e risalto alla vita reale e borghese di ogni giorno che riguarda, per altro, la stragrande maggioranza della gente comune, soprattutto di quella che, per svariati motivi, non ha potuto avere tutto nel corso della propria esistenza. Una sorta di nuova ondata di neorealismo del Cinema contemporaneo, in questo caso dicotomicamente collocato in una metropoli vasta e caotica come Tokyo e dove i sogni di tante persone sono popolati da sbiadite immagini in bianco e nero, vivendo la propria esistenza nell'assoluta semplicità e umiltà.
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[+] ha diviso quale pubblico ?!?!?!?!?!
(di giovanni_b_southern)
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gabriella
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lunedì 22 gennaio 2024
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un''altra volta è un''altra volta, adesso è adesso
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Come si possono creare giorni perfetti, cosa dobbiamo aspettarci accada di imprevedibile, unico e travolgente per essere felici? Niente di così straordinario secondo Wim Wenders e il protagonista del suo ultimo bellissimo film, Hirayama un uomo di circa sessantanni che ogni mattina si alza, e dopo una serie di reiterati gesti , ogni giorno uguali e ogni giorno svolti con estrema cura e precisione, prende il van e va al lavoro che per dirla crudamente è quello di pulire i cessi pubblici di Tokio. Fin qui niente di significativo, non fosse che la dedizione e la meticolosità che sono proprie del suo essere, alleggeriscono e nobilitano un lavoro altrimenti pesante e poco gratificante, Hirayama è un uomo che sa farsi bastare ciò che possiede, cioè l’essenziale , non parla molto, anzi parla pochissimo, ma sa ascoltare, sa osservare e sa catturare la luce quando s’infiltra tra le fronde degli alberi, o guardare il cielo albeggiare al mattino, vive da solo, a rompere il silenzio sono le canzoni vintage che ascolta in musicassetta nel tragitto che lo porta al lavoro, la sera prima di addormentarsi legge un libro alla debole luce di una lampada e il giorno dopo si ricomincia con l’identico scenario.
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Come si possono creare giorni perfetti, cosa dobbiamo aspettarci accada di imprevedibile, unico e travolgente per essere felici? Niente di così straordinario secondo Wim Wenders e il protagonista del suo ultimo bellissimo film, Hirayama un uomo di circa sessantanni che ogni mattina si alza, e dopo una serie di reiterati gesti , ogni giorno uguali e ogni giorno svolti con estrema cura e precisione, prende il van e va al lavoro che per dirla crudamente è quello di pulire i cessi pubblici di Tokio. Fin qui niente di significativo, non fosse che la dedizione e la meticolosità che sono proprie del suo essere, alleggeriscono e nobilitano un lavoro altrimenti pesante e poco gratificante, Hirayama è un uomo che sa farsi bastare ciò che possiede, cioè l’essenziale , non parla molto, anzi parla pochissimo, ma sa ascoltare, sa osservare e sa catturare la luce quando s’infiltra tra le fronde degli alberi, o guardare il cielo albeggiare al mattino, vive da solo, a rompere il silenzio sono le canzoni vintage che ascolta in musicassetta nel tragitto che lo porta al lavoro, la sera prima di addormentarsi legge un libro alla debole luce di una lampada e il giorno dopo si ricomincia con l’identico scenario. Che poi non è affatto identico, ogni giorno è un giorno nuovo, siamo vivi, respiriamo, possiamo ammirare il sole che sorge e che tramonta, un’altra volta, sentire l’acqua massaggiante di una vasca sul corpo dopo una giornata di duro lavoro e mangiare un’altra volta l’insalata di patate al ristorante di Mama. Koji Yakusho riempie il film di silenziosa presenza, di quotidiana illuminazione, attraverso il suo sguardo ci addentriamo nella profondità delle sue emozioni, riusciamo a rallentare la corsa, a seguire i suoi ritmi, per due ore veniamo trasportati da una leggerezza che abbiamo dimenticato, ci viene voglia di saperne di più di quest’uomo metodico e apparentemente sereno, per scoprire che anche lui ha un passato, un dolore, qualcosa dal quale si è allontanato, ma non sappiamo cosa, nemmeno con l’ingresso di Niko, sua nipote, che dopo una litigata con la madre, si stabilisce per qualche giorno dallo zio. Sappiamo che i rapporti con la sorella sono difficili, e ancor più quelli con il padre, nel finale emergono sentimenti contrastanti, una commistione emotiva che si trasforma continuamente sulle note di “ I am feeling good”. Un film da vedere, da assaporare, istante per istante, sembra strano, ma non ci si annoia a guardare la quotidiana e solitaria routine di quest’uomo , si avverte dolcezza nelle impercettibili modificazioni di ogni attimo e ci lasciamo avvolgere dal kamorebi, quella luce che filtra tra le foglie degli alberi, prima di uscire e tornare alla nostra frenesia giornaliera.
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[+] un film per i miei imperfect days
(di tosi)
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clavius
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sabato 13 gennaio 2024
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perfect movie
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La mia attenzione per il cinema di Wenders si era spenta circa 30 anni fa. La sensazione che avesse ormai detto tutto nei suoi lavori tra anni 70 e 80 era per me una certezza e gran parte della sua cinematografia recente mi pareva per lo più illuminata da una luce riflessa proveniente dai primi film di questo autore. Il suo cinema appesantito da un certo intellettualismo più volte mi ha lasciato perplesso. Imbattermi in questo film oggi mi ha fatto ricredere.
"Perfect days" è un grande film, lontanissimo dalla pruduzione media odierna in fatto di tempi, contenuti e stile. La storia all'apparenza esile e ripetitiva che si dipana agli occhi dello spettatore, assume ben presto i contorni del miracoloso.
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La mia attenzione per il cinema di Wenders si era spenta circa 30 anni fa. La sensazione che avesse ormai detto tutto nei suoi lavori tra anni 70 e 80 era per me una certezza e gran parte della sua cinematografia recente mi pareva per lo più illuminata da una luce riflessa proveniente dai primi film di questo autore. Il suo cinema appesantito da un certo intellettualismo più volte mi ha lasciato perplesso. Imbattermi in questo film oggi mi ha fatto ricredere.
"Perfect days" è un grande film, lontanissimo dalla pruduzione media odierna in fatto di tempi, contenuti e stile. La storia all'apparenza esile e ripetitiva che si dipana agli occhi dello spettatore, assume ben presto i contorni del miracoloso. "Perfect days" è un film che nasconde numerose sfumature, girato in maniera impeccabile ci riporta alla necessità del servizio. Servizio per sè e per gli altri. Servire il mondo per goderne delle meraviglie. Mettersi al servizio del proprio spirito nutrendolo. Rispettare sè e gli altri come chiave per dare senso all'esistenza. E' un film delicato e gentile ma anche fermo e che orgogliosamente tiene il punto senza mai sbandare in retorica o bolsi moralismi. Non ci sono sbavature, niente manca e niente è superfluo. Si respira un senso di pienezza ed in un paio d'ore lo straordinario protagonista si erge ad eroe mite capace di annichilire tutte (ma proprio tutte) le icone che vengono idolatrate oggi. Al cinema troppo spesso la solitudine viene rappresentata attraverso ritratti di esclusi o psicotici o alcolizzati o depressi. Qui la solitudine non è mai sinonimo di emarginazione, ma diventa una delle chiavi per comprendere il mondo e sentirsi pienamente parte di esso.
Nota di merito speciale all'interprete protagonista sulle cui spalle si sostiene gran parte dell'impalcatura. La sua performance è di grandissimo livello dando corpo ad un personaggio che da rendere credibile era quasi impossibile.
Oramai sulla soglia degli ottant'anni Wenders si è fatto indulgente e sembra di scorgere uno sguardo elegiaco ma senza rassegnazione sul tramonto che si avvicina facendo propria la massima di Hesse: "la gioventù si conclude quando finisce l'egoismo; la maturità inizia quando si vive per gli altri".
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[+] perfect anche la recensione
(di s l )
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[+] lo stupore per le piccole cose della vita
(di antonio montefalcone)
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lucaguar
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domenica 26 maggio 2024
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apologia della sobrietà
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Hirayama è un uomo normalissimo: vive una vita tranquilla e lavora come operatore in un’impresa di pulizie che si occupa dei bagni pubblici di Tokyo. Nonostante il suo lavoro possa sembrare “basso” e poco gratificante, egli mostra grande zelo e impegno nella sua attività. Vive da solo nel suo monolocale, ma la sua solitudine non è mai impregnata di negatività, disperazione, isolamento, depressione secondo un clichè ormai diffuso in occidente.
Hirayama è poi un uomo molto routinario, ma anche in questo caso troviamo una lettura differente dalla forma mentis più comune: il riproporsi delle azioni della giornata non è mai visto come una ripetizione alienante ma come una sana ritualità, carica di senso, di un significato profondo per il protagonista, fatto di rapporti di cordialità e vicinanza alle persone e ai luoghi che frequenta, che sono per lui ormai familiari.
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Hirayama è un uomo normalissimo: vive una vita tranquilla e lavora come operatore in un’impresa di pulizie che si occupa dei bagni pubblici di Tokyo. Nonostante il suo lavoro possa sembrare “basso” e poco gratificante, egli mostra grande zelo e impegno nella sua attività. Vive da solo nel suo monolocale, ma la sua solitudine non è mai impregnata di negatività, disperazione, isolamento, depressione secondo un clichè ormai diffuso in occidente.
Hirayama è poi un uomo molto routinario, ma anche in questo caso troviamo una lettura differente dalla forma mentis più comune: il riproporsi delle azioni della giornata non è mai visto come una ripetizione alienante ma come una sana ritualità, carica di senso, di un significato profondo per il protagonista, fatto di rapporti di cordialità e vicinanza alle persone e ai luoghi che frequenta, che sono per lui ormai familiari.
Hirayama è poi un uomo di pochissime parole ma, ancora una volta, la lettura che dà Wenders del silenzio non è segnata da una idiosincrasia: parla solo se necessario, preferisce lavorare sodo e, nella sua pausa pranzo, fotografare le chiome degli alberi con una vecchia macchina fotografica analogica, ascoltare vecchi brani rock rigorosamente tramite musicassette e leggere ottimi libri la sera alla luce di una lampada: non è certo un tecnomaniaco ossessionato dal mito del progresso.
L’unica piccola frattura in questa trama placida e irenica è forse l’incontro con la nipote fuggita di casa dopo la lite con la madre, sorella di Hirayama, molto amata dall’uomo e che risveglia in lui anche la parola. Con la sorella appunto sembra non abbia avuto buoni rapporti in passato o, semplicemente, come dice Hirayama stesso “viviamo in mondi diversi”.
"Perfect Days" è un film davvero originale e direi “paradossale”: riesce ad oltrepassare gli schemi del cinema occidentale e a contrastare con una visione del cinema come intrattenimento, spettacolo, in cui devono per forza “accadere cose”; un film paradossale appunto, proprio perché ad uno sguardo abituato al cinema odierno questo film potrebbe facilmente apparire noioso: al contrario, paradossalmente, proprio in questa sua apparente “immobilità” è un’opera che suscita davvero una infinità di riflessioni, che sarebbe impossibile riassumere tutte qui. Il tema che personalmente mi ha più colpito è stato il richiamo all’essenzialità: se si dovesse trovare un termine adatto a "Perfect Days" questo sarebbe certamente “sobrio”. In un’epoca di impetuoso sviluppo tecnico-scientifico, caratterizzata dalla fretta e dalla frenesia, da edonismi narcisistici e dalla volontà di esibirsi sul palco dei social network a caccia di consensi che certifichino la significanza dell’esistenza, Wenders ci mostra che è possibile vivere in un altro modo, in un altro mondo non, come sembrerebbe facile dire, “apprezzando le piccole cose”, anche perché non si sa mai poi cosa questo significhi, ma piuttosto apprezzando la semplicità della vita, che proprio una cosa “piccola” non è, ed è incredibilmente rara oggi. Tornare ad essere semplici, umili e miti come fa quest’uomo è invece, sembra dirci Wenders, molto complicato: guardare il mistero insito nella chioma di un albero, cantare assieme alla nipote, mettersi a giocare con un uomo affetto da un tumore in fase terminale (una delle scene più belle e struggenti) sono gesti che mostrano che si può essere veramente umani soltanto se ci si eleva, ma abbassandosi a ciò che il mondo rigetta oppure non considera se non come perdita di tempo. Anche quando Hirayama sembra deluso per il cattivo rapporto con la sorella, e la sua pacifica serenità sembra vacillare (inizia a bere e fumare…) in realtà ha la forza di non concedersi ad un facile edonismo o ad una depressiva disperazione.
Wenders, all’alba degli ottant’anni, si richiama al grande cinema giapponese, che ha più volte dichiarato di amare molto (in particolare Ozu), e riesce nell’impresa di riprenderne la purezza e la sobrietà. C’è ancora speranza per il cinema, finché avremo registi del calibro di Wim Wenders. Complimenti per questa ennesima gemma.
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lucmin
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domenica 7 gennaio 2024
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un film-meditazione
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Tutti i film di Wim Wenders che avevo visto fin qui (penso al Cielo sopra Berlino, Buena Vista Social Club, Il sale della Terra) avevano una storia, erano un vero e proprio racconto, accadevano cose. E, senza aver letto nulla prima, mi ero preparato a un nuovo racconto, a seguire una storia con un inizio, un percorso narrativo e una fine. Perfect Days, ambientato a Tokyo non è così, non ha nulla a che fare con tutti quei precedenti, se non una colonna sonora ben assortita, da Lou Reed, a van Morrison a Patty Smith a The house of Rising Sun in versione originale e in quella giapponese, e così via. Per il resto non ti devi aspettare che accada nulla, se non un’apparente ripetizione di gesti sempre uguali della vita quotidiana di Hirayama, sessantenne che vive solo in un monolocale di un quartiere povero: dal risveglio al sonno della notte, con brevi tracce di sogni indefiniti.
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Tutti i film di Wim Wenders che avevo visto fin qui (penso al Cielo sopra Berlino, Buena Vista Social Club, Il sale della Terra) avevano una storia, erano un vero e proprio racconto, accadevano cose. E, senza aver letto nulla prima, mi ero preparato a un nuovo racconto, a seguire una storia con un inizio, un percorso narrativo e una fine. Perfect Days, ambientato a Tokyo non è così, non ha nulla a che fare con tutti quei precedenti, se non una colonna sonora ben assortita, da Lou Reed, a van Morrison a Patty Smith a The house of Rising Sun in versione originale e in quella giapponese, e così via. Per il resto non ti devi aspettare che accada nulla, se non un’apparente ripetizione di gesti sempre uguali della vita quotidiana di Hirayama, sessantenne che vive solo in un monolocale di un quartiere povero: dal risveglio al sonno della notte, con brevi tracce di sogni indefiniti. Negli intervalli del suo lavoro, ascolta vecchie audiocassette e fotografa su pellicola il sole che filtra fra gli alberi, sempre gli stessi. Il suo legame indissolubile col passato, di cui possiamo solo intuire rotture e traumi, si manifesta nell’uso di tecnologie obsolete e ricordi musicali. Pochissime parole, Hirayama tiene tutto dentro, ascolta tutto e dice solo l’essenziale. Il protagonista, interpretato da Koji Yakusho, premiato come miglior attore al Festival di Cannes, è un vero e proprio artista, applica la sua sensibilità, la cura, l’attenzione ai dettagli, la gentilezza, il rispetto per gli altri, a tutto ciò che fa nella vita quotidiana. Poco importa se il suo lavoro è quello di pulire le toilette pubbliche, man mano che le immagini si snodano davanti allo spettatore si può cogliere la sua parentela stretta con gli altri artisti raccontati da Wenders nei film precedenti: l’acrobata, il fotografo, i musicisti. Se scopri che la lingua giapponese ha un vocabolo, komorebi, che significa “il riflesso del sole tra le foglie degli alberi”, allora comprendi come le piantine di cui si prende cura e gli alberi fotografati da lui e da Wim Wenders riportano al lavoro immenso fatto in una vita da Sebastiao Salgado e da sua moglie. E se leggi che subito prima della pandemia venti grandi firme dell’architettura giapponese avevano disegnato 15 toilette pubbliche in varie zone della città, comprendi che l’arte può essere davvero ovunque, nelle cose più banali e “sporche” (che pulite con grande cura possono risplendere) ma il nostro sguardo spesso non la vede se non è preso per mano dalla visione illuminante di un artista. E pensi che un film così in Italia non si potrebbe mai fare per il semplice fatto che da noi i bagni pubblici (gratuiti) sono scomparsi del tutto, come tutto ciò che era e dovrebbe essere pubblico. Non perdetevi questo film, ma andateci con l’attesa di sedervi per meditazione visiva (e auditiva). E se ci andate in compagnia di qualcuno sarà inevitabile, alla fine, scambiarvi le impressioni di straniamento di ciascuno, diversi per quanto ognuno di noi è originale e diverso dagli altri. Alla fine del film potremo ripensare in altro modo il senso dell’espressione “cogli l’attimo” e ringraziare Wenders.
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francesca meneghetti
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venerdì 5 gennaio 2024
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la nuda perfetta felicità interiore
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Al contrario di certi film che puntano sul ritmo, la velocità, su cambi rapidissimi di scena, l’ultimo film di Wenders si svolge all’insegna di una pacata lentezza e della reiterazione, strumento necessario per far entrare lo spettatore nel mondo di Hirayama, un filosofo silenzioso, che di mestiere pulisce i cessi. Detto così è orribile, ma tutto il peggio che può essere evocato da questo lavoro – sporcizia di ogni genere, puzza – viene reso asettico perché non conta nulla per il protagonista.
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Al contrario di certi film che puntano sul ritmo, la velocità, su cambi rapidissimi di scena, l’ultimo film di Wenders si svolge all’insegna di una pacata lentezza e della reiterazione, strumento necessario per far entrare lo spettatore nel mondo di Hirayama, un filosofo silenzioso, che di mestiere pulisce i cessi. Detto così è orribile, ma tutto il peggio che può essere evocato da questo lavoro – sporcizia di ogni genere, puzza – viene reso asettico perché non conta nulla per il protagonista. Hirayama è un uomo metodico, ordinato, che si alza al mattino, e, come in un rituale, ripiega il futon, ripone su uno scaffale il libro che ha letto prima di addormentarsi, innaffia le piantine, si lava, si sbarba, indossa la tuta da lavoro, esce e guarda il cielo, sorridendo. Anche nel lavoro è impeccabile: tutti i sanitari devono uscire lustri al suo passaggio, a costo di controllare con uno specchietto le superfici nascoste. È il suo lavoro, e va fatto con dignità e amore, come qualsiasi altro lavoro. Hirayama è un uomo di poche parole, un solitario, che sta bene con se stesso, ma dedica cura agli altri esseri umani, soprattutto a quelli in difficoltà (un bambino che si è allontanato dalla mamma, un giovane collega svampito, un barbone, il ragazzo del bar, un malato terminale, la nipote adolescente fuggita di casa). Come l’angelo di Un cielo sopra Berlino. Non li disdegna, è disponibile, ma resta libero da legami. Ama la lettura (nella sua modesta casetta incastonata tra i grattacieli di Tokio ha una libreria nutritissima). Ama fotografare, con una vecchia macchina analogica che richiede il rullino e la stampa. Ama la musica, che ascolta in auto da cassette diventate oramai oggetto di culto. Si snoda così una magnifica colonna sonora (almeno da un punto di vista “boomer”), che parte dalla magnifica The house of the rising sun” degli Animals (eseguita due volte: ma siamo nel paese del sol Levante), e transita attraverso canzoni di Patti Smith, Lou Reed, Van Morrison e altri. Hirayama ha un passato, che non viene rivelato compiutamente, probabilmente un fallimento. Proviene da una famiglia molto benestante (a giudicare dall’auto, con autista, con cui sua sorella viene a riprendersi la figlia), ha avuto problemi con il padre. Ma tutto questo non conta più. Il passato ritorna nei sogni in bianco e nero, dove immagini confuse e sfocate del passato si sovrappongono ai fotogrammi delle chiome degli alberi che lui fotografa in un parco, durante la pausa pranzo. L’iterazione delle scene di vita quotidiana, che imprime al film un andamento a spirale, non annoia lo spettatore, ma lo avvolge. Crea un’atmosfera immersiva che fa riflettere: che cosa è veramente essenziale nella nostra vita? E cosa risponde invece a bisogni indotti e artificiali? E se il segreto della felicità fosse proprio quello di privarvi dell’inutile, come fece Terzani accingendosi a morire, per sorridere alle piccole cose umili e belle della vita? La fotografia è stupenda ed evidenzia il contrasto tra l’ipertecnologica capitale del Giappone e il piccolo mondo dimesso, la nicchia ecologica, che Hirayama ha saputo ritagliarsi. L’interpretazione di Koji Yakusho (Palma d’oro a Cannes) è appunto da Palma d’oro. Quarant’anni fa Wenders usciva con un altro capolavoro, Paris Texas. Ho ritrovato delle analogie con quel protagonista: il mutismo, la solitudine, un passato da dimenticare, ma lo sguardo al cielo, e il potere consolatorio della musica.
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(di mauridal )
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(di sandra nesti)
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(di writer58)
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figliounico
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giovedì 18 gennaio 2024
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un film quasi perfetto
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Perfect days è il tentativo riuscito di Wim Wenders di girare un film nello stile del suo amato maestro, Yasujir? Ozu, già celebrato con Tokio-Ga, documentario del 1985 che si apriva con queste testuali parole dello stesso Wenders: “Se nel nostro secolo ci fossero ancora delle cose sacre…per me questo sarebbe l’opera del regista giapponese Yasujiro Ozu, Mai prima di allora il cinema è stato così vicino alla sua essenza e alla sua funzione”. Nel gioco della sovrapposizione delle ombre del protagonista, uno straordinario K?ji Yakusho, che rappresenta l’alter ego del regista nel film, con l’ex marito della donna segretamente amata, che gli confida di avere un tumore allo stadio terminale, è rappresentato simbolicamente l’incontro con lo spirito di Ozu, non a caso morto di cancro, che lo invita, in un ideale passaggio di consegna, a prendersi cura della sua ex consorte, ossia di ciò che resta dell’anima più profonda ed antica del Giappone.
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Perfect days è il tentativo riuscito di Wim Wenders di girare un film nello stile del suo amato maestro, Yasujir? Ozu, già celebrato con Tokio-Ga, documentario del 1985 che si apriva con queste testuali parole dello stesso Wenders: “Se nel nostro secolo ci fossero ancora delle cose sacre…per me questo sarebbe l’opera del regista giapponese Yasujiro Ozu, Mai prima di allora il cinema è stato così vicino alla sua essenza e alla sua funzione”. Nel gioco della sovrapposizione delle ombre del protagonista, uno straordinario K?ji Yakusho, che rappresenta l’alter ego del regista nel film, con l’ex marito della donna segretamente amata, che gli confida di avere un tumore allo stadio terminale, è rappresentato simbolicamente l’incontro con lo spirito di Ozu, non a caso morto di cancro, che lo invita, in un ideale passaggio di consegna, a prendersi cura della sua ex consorte, ossia di ciò che resta dell’anima più profonda ed antica del Giappone. Le due ombre sovrapponendosi formeranno un’ombra più scura? In questa domanda c’è l’angoscia di Wenders di capire se il suo messaggio anticonformista, replicando quello di Ozu, sarà più forte ed incisivo, ma anche la triste consapevolezza dell’impermanenza di tutte le cose. A parte la storia, semplice e con pochi elementi narrativi, con dialoghi scarni ed essenziali, giustificati dalla vita solitaria del protagonista chiuso in un magniloquente mutismo, che in sé stessa è la riproposizione del cinema minimalista di Ozu, e la tecnica di ripresa, che nell’inquadratura a mezzo busto mima quella famosa ad altezza tatami di Ozu, molteplici rinvii alla sua opera sono sparsi qua e là, alla stregua di semi pronti a sbocciare per formare nell’animo dello spettatore un angolo di bellezza nell’orrendo panorama contemporaneo, come il piccolo giardino di piantine curato dal protagonista, un’oasi di serenità e di vita nel deserto cementificato della metropoli, su cui svetta mostruosa la torre, simbolo della modernità, presente anche nelle inquadrature iniziali di Tardo autunno. Il mono no aware, tema che permea tutta l’opera di Ozu, si manifesta implicitamente nelle foto scattate ogni giorno allo stesso paesaggio, come a voler fermare il tempo che fugge via inesorabile, ed esplicitamente nella battuta della ristoratrice, che, in modo apparentemente gratuito, dice ai tre avventori del suo locale che vorrebbe che tutto rimanesse uguale come in quel momento. Al parco, nella pausa pranzo del protagonista, nella panchina accanto alla sua siede una giovane donna silenziosa che sembra essere una materializzazione di Noriko, uno dei personaggi ricorrenti nei film di Ozu. Un'altra incarnazione di Noriko è nella nipote adolescente che ha la sua stessa sensibilità, dimostrata dall’interesse per le medesime letture dell’uomo, in particolare per Urla d’amore, un romanzo di Patricia Highsmith scrittrice molto amata da Wenders che da una sua opera ha tratto il film L’amico americano del ’77. La vecchia macchina fotografica che lo zio le ha regalato è un simbolo analogo all’orologio che il suocero dona a Noriko in Viaggio a Tokyo; in entrambi i casi il dono degli oggetti rappresenta il passaggio di testimone da una generazione all’altra, ovvero il compito di assicurare il perpetuarsi delle antiche tradizioni nel tempo. Che il protagonista sia un uomo contro corrente, un uomo estraneo alla nostra epoca dominata da concitate chiacchiere televisive e verbosità massmediatiche aggressive, è reso icasticamente evidente nella sequenza nella quale la sua auto viaggia solitaria sulla tangenziale di Tokyo mentre nella direzione opposta c’è una lunga fila di auto in marcia. Wenders ha sfiorato la perfezione, che avrebbe raggiunto se l’ultima sequenza, che passerà comunque alla storia del cinema, con l’alternarsi emotivamente impattante delle contrastanti espressioni facciali di K?ji Yakusho, giustamente vincitore a Cannes del premio per la miglior interpretazione maschile, fosse durata soltanto trenta secondi di meno. La visione è consigliata a chi vuole, almeno per la durata del film, sentirsi in pace con il mondo e con sé stessi. All’uscita ci attende il consueto caos.
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giajr
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sabato 20 gennaio 2024
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un film carico di contenuti e molto studiato
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Si tratta di un film che non deve essere visto come si farebbe con una qualsiasi pellicola; l'autore, il regista, lo sceneggiatore, il costumista, ecc. lo hanno voluto caricare di contenuti, forse, fin in troppo (anche se queste sapienti operazioni non sono mai eccessive).
Il protagonista è un universo di caratteristiche che non si possono elencare tutte, nella certezza che non si sarebbe esaustivi, ma che si possono soltanto citare a titolo esemplificativo: il suo non parlare, il rituale delle sue azioni e quelli giornalieri, la metodica precisione, la sua solitudine, gli sguardi e le espressioni (elementi tutti, frutto di un ben preciso percorso di vita). Poi ci sono gli altri personaggi, anche quelli totalmente secondari, tutti inseriti in questo film in modo non certo casuale, ma con la finalità di darvi un loro peso unico che, inevitabilmente, lo caratterizza: il giovane collega, la ragazza bionda "amica" di quest'ultimo, la proprietaria del ristorante di cui probabilmente il protagonista è attratto, l'ex marito di lei, la libraia, la nipote, la sorella "ricca".
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Si tratta di un film che non deve essere visto come si farebbe con una qualsiasi pellicola; l'autore, il regista, lo sceneggiatore, il costumista, ecc. lo hanno voluto caricare di contenuti, forse, fin in troppo (anche se queste sapienti operazioni non sono mai eccessive).
Il protagonista è un universo di caratteristiche che non si possono elencare tutte, nella certezza che non si sarebbe esaustivi, ma che si possono soltanto citare a titolo esemplificativo: il suo non parlare, il rituale delle sue azioni e quelli giornalieri, la metodica precisione, la sua solitudine, gli sguardi e le espressioni (elementi tutti, frutto di un ben preciso percorso di vita). Poi ci sono gli altri personaggi, anche quelli totalmente secondari, tutti inseriti in questo film in modo non certo casuale, ma con la finalità di darvi un loro peso unico che, inevitabilmente, lo caratterizza: il giovane collega, la ragazza bionda "amica" di quest'ultimo, la proprietaria del ristorante di cui probabilmente il protagonista è attratto, l'ex marito di lei, la libraia, la nipote, la sorella "ricca"... e ancora, che dire delle sceneggiature? Unici gli ambienti: i bagni pubblici che lui pulisce e quello in cui si reca per lavarsi, l'appartamento del protagonista, la sua automobile, i negozi che frequenta, le tavole calde che abitualmente visita per mangiare.
Si tratta davvero di una pellicola che fa riflettere e della quale si potrebbe dire tanto, specialmente e, non per ultimo, in ordine alle scelte di vita a cui, probabilmente, il protagonista è stato chiamato attraverso un suo percorso, del quale non si dice niente ma lo si capisce.
Un film il cui il protagonista è fermo in un passato recente, gli anni '90 e nel quale, per scelta, vuole restare.
Unica critica, forse, un film un po' lento e non per tutti, ma d'altronde è questo che lo caratterizza. Impegnativo ma consigliato.
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mauridal
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martedì 23 gennaio 2024
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adesso è il film perfetto non il prossimo
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PERFECT DAYS Un film tenero, commovente, dove “adesso è adesso, la prossima volta è la prossima volta”, perché un film di Wenders è da vedere nel “qui ed ora”, da soli, in compagnia, con pensieri o senza, nell’assoluto piacere del cinema. Tutte le possibili considerazioni, le critiche e le riflessioni necessarie vengono dopo. Dunque, Perfect Days è proprio la musica di Lou Reed sentita e riproposta nella colonna sonora del film, che fa da protagonista alla visione complessiva.
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PERFECT DAYS Un film tenero, commovente, dove “adesso è adesso, la prossima volta è la prossima volta”, perché un film di Wenders è da vedere nel “qui ed ora”, da soli, in compagnia, con pensieri o senza, nell’assoluto piacere del cinema. Tutte le possibili considerazioni, le critiche e le riflessioni necessarie vengono dopo. Dunque, Perfect Days è proprio la musica di Lou Reed sentita e riproposta nella colonna sonora del film, che fa da protagonista alla visione complessiva. Il personaggio di Hirayama è un giapponese perfetto, educato, gentile e di buone maniere, molto misurato nelle parole e nei gesti. Vive una vita solitaria e ricca non di oggetti o soldi, ma di beni dell’anima e della mente. L’aspetto geniale del film è che il maturo uomo vive di un lavoro tutt’altro che intellettuale: pulisce i gabinetti di un parco pubblico in un moderno quartiere di Tokyo. L’idea del film nasce perché Wenders, inizialmente, aveva accettato di girare un documentario su Tokyo moderna e sui suoi nuovi parchi dotati di moderne toilette, ma poi si era convito di dover inventare un soggetto con altro sceneggiatore giapponese e dunque realizza il film. Il personaggio di Hirayama è davvero unico e quasi fuori tempo, immerso in una realtà insieme immaginata e vissuta, con tutti i lati positivi e negativi che la realtà offre, ma con un distacco e un filtro intellettuale che lo rendono più un filosofo orientale che un lavoratore comune dal mestiere umile. Noi spettatori di questo film, partecipi di una società occidentale basata sulla ricchezza, il guadagno e la competizione, non riusciamo a capire inizialmente come si possa accettare una vita così minimalista ma, con il procedere della storia, conoscendo meglio la vita e le scelte del protagonista, che comunica poco a parole, ma molto con gli sguardi e i silenzi, entriamo nella logica della storia che Wenders ci racconta. Apprezziamo dunque Hirayama, le sue fantasie, i suoi incontri con persone occasionali, tutto ciò che rende la sua vita un’accettazione del presente, ma con uno sguardo sognante verso un futuro di cose belle, incontri di persone amiche senza particolari legami o vincoli precisi. Il suo passato non viene ben raccontato, tuttavia, ad un punto della storia, troviamo una ragazza che lo saluta sulla scala di casa chiamandolo zio. Scopriremo che è la nipote scappata da casa, che lo ha raggiunto per farsi ospitare. L’uomo, inizialmente, fa fatica a riconoscere la ragazza come sua nipote ma, alla fine, accetta questa presenza che mette in discussione la sua vita solitaria, metodica ed essenziale e lo fa per un sincero e generoso desiderio di aiuto alla ragazza, che egli ricorda piccola e con cui aveva perso i contatti dopo che lui aveva lasciato la famiglia. Ecco la ragione e il motivo delle scelte di vita di un uomo che vuole vivere una vita senza un passato, fatta solo di un presente abbastanza tranquillo, di un lavoro umile ma, al contempo, di profondità di animo e tanti interessi culturali. Hirayama, infatti, legge molto, ama la fotografia, scatta molte foto con la macchina a pellicola e, non in ultimo, ascolta tantissima musica Rock di autori e cantanti moderni come Lou Reed, Patti Smith, Van Morrison, Nina Simone, Kings, tutta musica ascoltata in macchina con l’audiocassetta quando si sposta il giorno per lavorare. Anche noi spettatori di questo unico, grande film di Wenders ascoltiamo l’intera colonna sonora del film, godendo e condividendo tutte le musiche che sceglie il protagonista. Quando la nipote dovrà andarsene, poiché la madre, cioè la sorella di Hirayama, viene a prenderla, scopriamo che l’uomo, in realtà, proviene da una famiglia molto ricca che aveva lasciato per un altro modello di mondo, un mondo vissuto all’insegna della gentilezza d’animo e della generosità. Infine, quando Hirayama gioca con le ombre nel finale del film, richiama molto l’angelo del Cielo sopra Berlino, altro personaggio Wendersiano tra realtà e fantasia, che tutti ricordiamo. Dunque, possiamo senz’altro ammettere di essere usciti migliori dal cinema dopo aver visto questo film.
(Mauridal)
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