sergio dal maso
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martedì 14 novembre 2023
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un capolavoro, splendido quanto necessario
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“Anima mia, scampata dal mare, in questa notte di vento asciugami (…)
splendi sopra queste assi, sopra questo mare, questo mare scuro, splendi sulla mia fatica, splendi su di me (…)
Davvero davvero ti chiedo davvero, se ce la faremo o no, passo dopo passo so che ti raggiungerò.”
Mauro Pagani (Davvero davvero)
Ci sono film che meritano di essere visti per il loro valore cinematografico, per la qualità estetica o di scrittura, altri per le emozioni che riescono a trasmettere. Pochi però sono imprescindibili, in qualche modo necessari.
Io Capitanodi Matteo Garrone è uno di questi, perché, sul delicatissimo quanto urgente tema dell’immigrazione, ribalta la nostra prospettiva di spettatori occidentali, mettendo in scena una sorta di controcampo narrativo.
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“Anima mia, scampata dal mare, in questa notte di vento asciugami (…)
splendi sopra queste assi, sopra questo mare, questo mare scuro, splendi sulla mia fatica, splendi su di me (…)
Davvero davvero ti chiedo davvero, se ce la faremo o no, passo dopo passo so che ti raggiungerò.”
Mauro Pagani (Davvero davvero)
Ci sono film che meritano di essere visti per il loro valore cinematografico, per la qualità estetica o di scrittura, altri per le emozioni che riescono a trasmettere. Pochi però sono imprescindibili, in qualche modo necessari.
Io Capitanodi Matteo Garrone è uno di questi, perché, sul delicatissimo quanto urgente tema dell’immigrazione, ribalta la nostra prospettiva di spettatori occidentali, mettendo in scena una sorta di controcampo narrativo. Racconta una storia di migranti con lo sguardo di chi parte, con la visione di chi il viaggio lo vive realmente sulla sua pelle tra la sofferenza fisica e le ferite dell’anima. Senza retorica né pietismo, con una grazia e una poesia che arrivano al cuore.
Seydou e Moussa sono due cugini senegalesi, inseparabili. Due ragazzi normali, con le stesse speranze e ambizioni di un qualsiasi adolescente europeo: sfondare come musicisti e diventare famosi. Hanno una vita semplice, forti legami famigliari e solidarietà tra vicini. Una povertà tutto sommato dignitosa.
A differenza di migliaia di migranti che fuggono da guerre civili o carestie, Seydou e Moussa vogliono partire per inseguire un sogno, per realizzare le proprie aspirazioni. Sono disposti a tutto, ingenui e impavidi ai limiti dell’incoscienza, non credono ai racconti drammatici di chi “il viaggio” l’ha già fatto.
Il sogno diventerà un incubo. Il viaggio verso l’Europa si trasformerà in un’Odissea contemporanea, una Via Crucis tra fatiche disumane, inganni e violenze indicibili. Con “stazioni” terribili, prima i predoni del deserto, poi i centri di detenzione delle bande criminali libiche e, infine, l’allucinante traversata del Mediterraneo.
Per i due giovani migranti i dolorosi accadimenti che dovranno affrontare diventeranno tappe di un percorso di maturazione e di crescita interiore. Seydou non perderà mai la speranza di ritrovare e salvare Moussa, mantenendo in ogni circostanza quell’innocenza e quella purezza d’animo con cui era partito dal villaggio.
Io Capitano, infatti, trasuda umanità, anche nelle situazioni più tragiche il protagonista si aggrappa al sentimento di fratellanza, al disperato bisogno di restare umani. La fiammella della speranza non si spegne mai, nemmeno nei momenti più atroci e crudeli.
La grandezza di Garrone, uno dei pochi registi italiani con un respiro internazionale, è quella di riuscire a raccontare la realtà attingendo anche dall’immaginario onirico, da una dimensione fiabesca.
Non è un caso che il suo precedente film sia stato Pinocchio. Nell’assoluta verità della storia di Seydou e Moussa vi sono molti elementi in comune con la fiaba: le bugie, il miraggio del Paese dei Balocchi, i (tanti) gatti e le volpi incontrati nel cammino. D’altro canto, il segreto delle fiabe è proprio quello di raccontare con la simbologia la vita vera.
Le emozioni che il film trasmette sono amplificate dalla verità che racconta: la storia è stata scritta a otto mani, mettendo assieme singole storie rigorosamente vere ascoltate dai migranti. Coraggiosa e ineccepibile anche la scelta di lasciarlo in lingua originale wolof, parlata da circa la metà dei senegalesi.
Sulla straordinaria bravura del regista c’è poco da aggiungere. Molte inquadrature sono quadri in movimento, di una bellezza estetica ammaliante. La fotografia di Paolo Carnera è magnifica, i colori nella prima parte sono caldi e accesi, poi via via sempre più cupi, come le magliette dei ragazzi che diventano impolverate e sgualcite. La scena del superamento della piattaforma petrolifera illuminata nel silenzio della notte nera è da pelle d’oca.
Seydou Sarr e Moustapha Fall sono sensazionali per espressività e spontaneità, il giovane protagonista ha vinto, meritatamente, il premio Mastroianni come miglior attore esordiente alla Mostra del Cinema di Venezia.
Il racconto si ferma davanti alla terraferma, prima che inizi quella sarabanda massmediatica che, ahimè, conosciamo bene. Non serve che ci raccontino cosa accadrà dopo, quello purtroppo lo sappiamo. Non serve nemmeno documentarsi per sapere che il vero Seydou, in quanto “scafista”, è stato arrestato per favoreggiamento di immigrazione clandestina. Fofana Amara, questo il suo vero nome, ha preso “solo” sei mesi di carcere in quanto minorenne. Oggi vive in Belgio e non è ancora stato regolarizzato.
Alla fine del film, per fortuna, abbiamo un altro sguardo, quello di Seydou e Moussa. Il miracolo cinematografico di Io Capitano sta proprio nella totale empatia con cui condividiamo il loro viaggio, liberi dalle nostre paure e dagli odiosi pregiudizi per cui i migranti sono clandestini prima che persone.
L’urlo finale è tanto emozionante quanto liberatorio. Viene voglia di alzarsi in piedi e di andare ad abbracciare Seydou dentro al barcone. Tra i tanti sedicenti “capitani” di chiacchere e discorsi vuoti, lui è un capitano vero. O forse, solo un ragazzo diventato Uomo.
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tozkino
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giovedì 5 ottobre 2023
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un grido di...sperato
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Il film descrive una vicenda contemporanea, come fosse una cronaca giornalistica; nulla è lasciato alla fantasia o all’invenzione, zero effetti speciali, nessun volo pindarico o ricorso a gesti da supereroi, niente orizzonti o favole fantascientifiche, nessun ricorso a colonne sonore classiche o rockeggianti, mancano del tutto i piani-sequenza digitalmente impostati: un film vero e crudo, ma anche poetico; un racconto drammatico e realistico che ti scava dentro e ti sconvolge. Un film potente che rimarrà nella mente e nella coscienza di questo nostro povero tempo, che rischia di passare alla storia come il più egoistico e crudele. Qualcuno ha detto, con una certa dose di spietata amarezza e drammatica verità, che questo film dovrebbe essere proiettato in tutti i parlamenti, a iniziare da quello europeo, ma anche nei palazzi del potere come la Banca Mondiale o l’ONU e, io aggiungo, che dovrebbero vederlo in tutte le scuole, a iniziare da quelle elementari.
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Il film descrive una vicenda contemporanea, come fosse una cronaca giornalistica; nulla è lasciato alla fantasia o all’invenzione, zero effetti speciali, nessun volo pindarico o ricorso a gesti da supereroi, niente orizzonti o favole fantascientifiche, nessun ricorso a colonne sonore classiche o rockeggianti, mancano del tutto i piani-sequenza digitalmente impostati: un film vero e crudo, ma anche poetico; un racconto drammatico e realistico che ti scava dentro e ti sconvolge. Un film potente che rimarrà nella mente e nella coscienza di questo nostro povero tempo, che rischia di passare alla storia come il più egoistico e crudele. Qualcuno ha detto, con una certa dose di spietata amarezza e drammatica verità, che questo film dovrebbe essere proiettato in tutti i parlamenti, a iniziare da quello europeo, ma anche nei palazzi del potere come la Banca Mondiale o l’ONU e, io aggiungo, che dovrebbero vederlo in tutte le scuole, a iniziare da quelle elementari. La storia dell’umanità, fin dalla sua alba, è una storia di cammini e di intersezioni con gli altri esseri viventi e con l’ambiente naturale, che a me piace chiamare Creato, cioè donato da Dio. Da sempre l’uomo è in cammino e si sposta: tutta la storia dell’umanità può essere letta secondo questa fondamentale prospettiva, la libera migrazione. La Terra è di tutti e tutti gli uomini hanno diritto di percorrerla, hanno diritto di fermarsi in una zona o in una regione, hanno diritto di viverla, certo rispettando e aderendo a determinate regole, chi arriva in un territorio diverso da quello da dove è partito ha bisogno di rispetto e di accoglienza; ogni uomo ha un bisogno fondamentale quello di accogliere e di essere accolto: sta qui la cifra dell’umanità e dell’umanesimo, solo su questa base si può costruire una civiltà vera e rispettosa. Mi pare che il valore culturale dell’opera sia del tutto evidente: sia per il coraggio e l’intensità con cui si rappresenta il fenomeno epocale della migrazione dall’Africa verso l’Europa; sia per la capacità di rappresentare un mondo diverso, quale quello da cui si parte per migrare, lo scontro di civiltà tra la nostra visione occidentale della vita e quella di chi proviene da altre forme ugualmente degne di rispetto e di onore. In ogni caso sento di poter dire che questo film è capace di segnarci nel profondo. Riesce a regalare allo spettatore uno sguardo diverso su quelle stesse realtà che credeva di avere ormai analizzato e catalogato razionalmente. Il canto epico di Io Capitano conosce sì, come si addice al genere, alcuni inserti onirici, di grande qualità estetica e molto commoventi, ma resta aderente al reale, alla vita, alle vite dei suoi protagonisti. Basti considerare che proprio l’impresa di Seydou, imbarcato e messo a forza alla guida del battello destinato a compiere l’ultima tappa del viaggio, obbligato a condurre al traguardo le speranze comuni delle tante diverse storie di vita. Il grido del giovane navigatore improvvisato, è drammatico e toccante, quest’urlo squarci le sorde orecchie dell’opulento e egoistico Occidente: Io sono il Capitano, nessuno è morto nell’attraversata del Mediterraneo; tutti ho portato in Italia… e ora voi europei, cosa saprete fare? Fatti non parole. Mi auguro che il film vi inquieti e vi spinga reagire con umanità e cuore, se non ci facciamo prossimo, se non siamo disposti a fare spazio, ad accogliere… l’umanità si estinguerà.
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francesca meneghetti
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domenica 17 settembre 2023
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una storia di formazione: dal sogno adolescenziale alla responsabilità
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Mario Rigoni Stern aveva 22 anni quando si è trovato a dover guidare la ritirata di settanta uomini, portandoli in salvo: quello è stato il capolavoro della mia vita, disse, ignorando i premi letterari. Questa sua dichiarazione mi è tornata in mente assistendo alla proiezione di Io Capitano, di Matteo Garrone. Mi aspettavo di vedere un film, non unico, sull’immigrazione africana. Ricordo bene “Tutto è in ordine, niente è a posto” del regista e documentarista, Andrea Segre, esperto sul tema, là dove si metteva a fuoco il tema politico delle immigrazioni africane, e delle relazioni diplomatiche tra Italia e Libia. Un film che evidenziava la difficoltà a incontrare, in suolo africano, interlocutori affidabili, data la pluralità di soggetti senza scrupoli e senza rispetto di diritti umani, interessati all’affare delle migrazioni per i risvolti economici.
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Mario Rigoni Stern aveva 22 anni quando si è trovato a dover guidare la ritirata di settanta uomini, portandoli in salvo: quello è stato il capolavoro della mia vita, disse, ignorando i premi letterari. Questa sua dichiarazione mi è tornata in mente assistendo alla proiezione di Io Capitano, di Matteo Garrone. Mi aspettavo di vedere un film, non unico, sull’immigrazione africana. Ricordo bene “Tutto è in ordine, niente è a posto” del regista e documentarista, Andrea Segre, esperto sul tema, là dove si metteva a fuoco il tema politico delle immigrazioni africane, e delle relazioni diplomatiche tra Italia e Libia. Un film che evidenziava la difficoltà a incontrare, in suolo africano, interlocutori affidabili, data la pluralità di soggetti senza scrupoli e senza rispetto di diritti umani, interessati all’affare delle migrazioni per i risvolti economici. Ma nel film di Garrone, che non manca di evidenziare la quantità di affaristi africani, cinici e crudeli, la dimensione politica direi, sia pure con esitazione, passa in secondo piano rispetto alla vicenda umana ed esistenziale, che può essere assunta a paradigma universale di coscienza civile. Il protagonista è Seydou, un sedicenne senegalese, orfano di padre, che, trascinato dal cugino coetaneo Moussa, dopo aver accumulato un tesoretto con lavori vari, lascia l’amata madre (con molti sensi di colpa) per l’avventura: vuol diventare un musicista famoso che rilascerà autografi agli europei bianchi. Pur avvertito dei pericoli dalla mamma, Seydou non rinuncia al sogno, che si rivela però un incubo. Sorvolo sulle disavventure, anche tragiche, dei due ragazzi (anche perché le scene violente mi fanno orrore), sta di fatto che l’odissea dei due è a tutti gli effetti un viaggio di formazione. Seydou è un puro, un ragazzo che impara presto a destreggiarsi di fronte a tanti approfittatori criminali, ma non dimentica l’umanità. È l’unico che torna indietro per soccorrere (impresa impossibile) una donna stremata nel Sahara. È quello che, preso alla gola da un ricatto, si trova a dover guidare una carretta del mare fino all’Italia, senza saper governare una barca, senza saper nuotare. Ma a quel punto il sedicenne Seydou è già un uomo, che si prefigge come scopo quello di portare da vivi in Europa tutti i profughi imbarcati, e che, in vista della terra (italiana) esplode d’orgoglio: Io, capitano. Come Rigoni Stern, sergente maggiore. Ecco spiegato il titolo del film. Ogni onore ai Seydou, veri o di immaginazione, che fanno da contraltare a tante figure di africani loschi e corrotti. La linea di separazione, in questo film, non è etnica, ma etica. Molto bella la fotografia e in particolare le due scene surreali (dimensione del sogno) dove Seydou, nell’immaginazione, rettifica la realtà.
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[+] giuanìn senegalese arriva a baita
(di ruger357mgm)
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felicity
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giovedì 29 febbraio 2024
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un film che merita attenzione
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"Io capitano" parte neanche dopo pochi minuti con la confessione del figlio alla madre, che racconta male non solo le motivazioni alla base della partenza, ma non crea relazioni, atmosfere. Si va da una scena all'altra senza che ci sia sviluppo. Si va a temi, didascalici. In un viaggio omerico in cui lo spettatore non viaggia, ma assiste da un lato, distaccato, da borghese, nascosto in un angolo.
La fotografia è laccata, bella, eccessivamente curata. Un costante alternarsi di cartoline, senza prospettive semiotiche: ma solo di un'estetica fatta di una mdp che si muove fluida, senza osare, senza sporcarsi le mani, senza che lo spettatore senta la "puzza" di ciò che accade.
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"Io capitano" parte neanche dopo pochi minuti con la confessione del figlio alla madre, che racconta male non solo le motivazioni alla base della partenza, ma non crea relazioni, atmosfere. Si va da una scena all'altra senza che ci sia sviluppo. Si va a temi, didascalici. In un viaggio omerico in cui lo spettatore non viaggia, ma assiste da un lato, distaccato, da borghese, nascosto in un angolo.
La fotografia è laccata, bella, eccessivamente curata. Un costante alternarsi di cartoline, senza prospettive semiotiche: ma solo di un'estetica fatta di una mdp che si muove fluida, senza osare, senza sporcarsi le mani, senza che lo spettatore senta la "puzza" di ciò che accade. Un film che non suda, quindi: un film che fa vedere i volti in maniera limpida, viva ma mai realistica.
E poi il montaggio: un alternarsi costante di dissolvenze incrociate in ogni stacco, dissolvenze ellittiche, sul movimento, per ammorbidire, per creare omogeneità.
Sempre senza alcun motivo linguistico.
Il film di Garrone non è un racconto di disperazione, anzi, è la storia di due ragazzi che rivendicano il diritto di inseguire i loro sogni, come tutti i ragazzi del mondo.
Ha ribaltato il punto di vista di un viaggio: non si è concentrato su di noi; si è concentrato su quello che avviene sulle coste africane, nel deserto, nei paesi più piccoli. Si è concentrato sulle dinamiche familiari e sull'amicizia. Ha cercato di ricostruire una realtà. Questo vuol dire che Io capitano è condizionato, ed è condizionato profondamente, dall'idea di cinema del suo autore. La favola, all'interno del film, non è una via di fuga: è un mondo parallelo, alternativo, in cui poter dare un ordine alla confusione delle parole e affrontare la morte senza lasciarsi travolgere dalla sua inappellabilità.
Garrone non vuole nascondere o addolcire una tragedia. E non vuole nemmeno perdere il contatto con sé stesso e la sua visione.
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carlo santoni
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mercoledì 20 settembre 2023
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ma non è un’odissea, non è una anabasi
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Sotto l’impulso di certe dichiarazioni dell’ottimo Garrone, ecco che nei loro commenti quasi tutti declinano la storia narrata nel film “come fosse un’odissea”. Ma non lo è, non lo è affatto: Seydou e Moussa non stanno cercando la strada per tornare a casa dopo tante peripezie, anche se sul finale Moussa parrebbe incline a farlo, al contrario, stanno cercando di fuggire quanto più lontano da casa, di scappare in un mondo sconosciuto e certissimamente diverso da quello natale, per lo meno nella loro immaginazione. Lo si può definire “Odissea” per via che le avventure vissute sono tante, alcune dolci, la maggior parte dolorose, a volte terribili, proprio come capitò a Ulisse, ma il senso del viaggio dei due senegalesi è assolutamente opposto: nessuna anabasi dopo tante peripezie, nessun ritorno a, invece fuggire comunque da.
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Sotto l’impulso di certe dichiarazioni dell’ottimo Garrone, ecco che nei loro commenti quasi tutti declinano la storia narrata nel film “come fosse un’odissea”. Ma non lo è, non lo è affatto: Seydou e Moussa non stanno cercando la strada per tornare a casa dopo tante peripezie, anche se sul finale Moussa parrebbe incline a farlo, al contrario, stanno cercando di fuggire quanto più lontano da casa, di scappare in un mondo sconosciuto e certissimamente diverso da quello natale, per lo meno nella loro immaginazione. Lo si può definire “Odissea” per via che le avventure vissute sono tante, alcune dolci, la maggior parte dolorose, a volte terribili, proprio come capitò a Ulisse, ma il senso del viaggio dei due senegalesi è assolutamente opposto: nessuna anabasi dopo tante peripezie, nessun ritorno a, invece fuggire comunque da. Ad ogni costo. Il film lo direi più simile ad una Via Crucis, con tutte le sue terribili stazioni, che non ad una Odissea, anche se alla fine nessuno sarà messo in croce, tantomeni i ladroni.
È poi con ogni evidenza la trasposizione filmica di una sceneggiatura che funziona come romanzo di formazione, che attraverso le peripezie e la crescita di due giovani ragazzi, mostra gli orrori di un’epoca e di un mondo: esattamente il nostro, “democratico”, occidentale e, ça va sans dire, proprio per questo profondamente spietato, razzista.
Massimo merito di questo film di Garrone, a mio parere, il funzionare come lucida denuncia. La denuncia dell’inferno che devono attraversare i migranti sub-sahariani, per raggiungere l’inferno italiano: il tutto senz’alcun Virgilio che gli dia una dritta; messaggio potentissimo, che scuote le coscienze: quando da Minniti in poi l’estrema destra razzista e neocolonialista chiede, come allora e come oggi, che i traffici dei migranti debbano essere fermati in terra d’Africa, specificamente in Libia, cioè prima di urtare con le loro avventure marinare destinate al naufragio le nostre delicate coscienze mentre siamo seduti a cena, ecco, dovremmo essere consapevoli che ciò significherebbe dirottare fiumane di esseri umani nelle mani dei carnefici spietati e degli schiavisti che il film ci mostra.
Ottime la fotografia e la colonna sonora, magari entrambe un po’ troppo patinate. Bravi i giovani interpreti.
Se c’è un difetto, sta proprio nel suo nitore. Le splendide immagini del deserto, a metà tra un documentario “National Geographic” e “Lawrence d’Arabia”, possono far perdere di vista il cuore tragico del problema; così come l’ottimismo sempre presente, nonostante tutte le peripezie, potrebbe far pensare ad una intonazione edificante da romanzo dickensiano o d’appendice. I toni più scabri alla “Dogman” non avrebbero guastato.
Ma, insomma, ancora una volta complimenti Garrone!
Sotto l’impulso di certe dichiarazioni dell’ottimo Garrone, ecco che nei loro commenti quasi tutti declinano la storia narrata nel film “come fosse un’odissea”. Ma non lo è, non lo è affatto: Seydou e Moussa non stanno cercando la strada per tornare a casa dopo tante peripezie, anche se sul finale Moussa parrebbe incline a farlo, al contrario, stanno cercando di fuggire quanto più lontano da casa, di scappare in un mondo sconosciuto e certissimamente diverso da quello natale, per lo meno nella loro immaginazione. Lo si può definire “Odissea” per via che le avventure vissute sono tante, alcune dolci, la maggior parte dolorose, a volte terribili, proprio come capitò a Ulisse, ma il senso del viaggio dei due senegalesi è assolutamente opposto: nessuna anabasi dopo tante peripezie, nessun ritorno a, invece fuggire comunque da. Ad ogni costo. Il film lo direi più simile ad una Via Crucis, con tutte le sue terribili stazioni, che non ad una Odissea, anche se alla fine nessuno sarà messo in croce, tantomeni i ladroni.
È poi con ogni evidenza la trasposizione filmica di una sceneggiatura che funziona come romanzo di formazione, che attraverso le peripezie e la crescita di due giovani ragazzi, mostra gli orrori di un’epoca e di un mondo: esattamente il nostro, “democratico”, occidentale e, ça va sans dire, proprio per questo profondamente spietato, razzista.
Massimo merito di questo film di Garrone, a mio parere, il funzionare come lucida denuncia. La denuncia dell’inferno che devono attraversare i migranti sub-sahariani, per raggiungere l’inferno italiano: il tutto senz’alcun Virgilio che gli dia una dritta; messaggio potentissimo, che scuote le coscienze: quando da Minniti in poi l’estrema destra razzista e neocolonialista chiede, come allora e come oggi, che i traffici dei migranti debbano essere fermati in terra d’Africa, specificamente in Libia, cioè prima di urtare con le loro avventure marinare destinate al naufragio le nostre delicate coscienze mentre siamo seduti a cena, ecco, dovremmo essere consapevoli che ciò significherebbe dirottare fiumane di esseri umani nelle mani dei carnefici spietati e degli schiavisti che il film ci mostra.
Ottime la fotografia e la colonna sonora, magari entrambe un po’ troppo patinate. Bravi i giovani interpreti.
Se c’è un difetto, sta proprio nel suo nitore. Le splendide immagini del deserto, a metà tra un documentario “National Geographic” e “Lawrence d’Arabia”, possono far perdere di vista il cuore tragico del problema; così come l’ottimismo sempre presente, nonostante tutte le peripezie, potrebbe far pensare ad una intonazione edificante da romanzo dickensiano o d’appendice. I toni più scabri alla “Dogman” non avrebbero guastato.
Ma, insomma, ancora una volta complimenti Garrone!
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mauridal
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domenica 24 settembre 2023
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un sogno lungo un viaggio vero
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IO CAPITANO. Regia di Matteo Garrone. Un film con Seydou Sarr, Moustapha Fall. Quando un film pur narrando una storia reale , fatti tratti da una realtà storica o addirittura di cronaca contemporanea, ma al contempo si distacca dalla semplice documentazione per immagini , per entrare in un racconto con un punto di vista preciso , allora il film Io Capitano di Matteo Garrone, ha sicuramente aderito ai canoni di un linguaggio verista per raccontare la storia dei due ragazzi , Seydou e Moussa, nati in Senegal a Dakar, che con la gioventù dei sedici anni possono immaginare e fantasticare di essere famosi nella musica , su you tube o TIK TOK , non lì , dove vivono , in famiglia , ma in Europa , Francia Italia, che conoscono attraverso i social, e la TV.
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IO CAPITANO. Regia di Matteo Garrone. Un film con Seydou Sarr, Moustapha Fall. Quando un film pur narrando una storia reale , fatti tratti da una realtà storica o addirittura di cronaca contemporanea, ma al contempo si distacca dalla semplice documentazione per immagini , per entrare in un racconto con un punto di vista preciso , allora il film Io Capitano di Matteo Garrone, ha sicuramente aderito ai canoni di un linguaggio verista per raccontare la storia dei due ragazzi , Seydou e Moussa, nati in Senegal a Dakar, che con la gioventù dei sedici anni possono immaginare e fantasticare di essere famosi nella musica , su you tube o TIK TOK , non lì , dove vivono , in famiglia , ma in Europa , Francia Italia, che conoscono attraverso i social, e la TV. Dunque con la stessa leggerezza e ingenua fantasia, pensano di partire, in un viaggio verso una meta solo fantasticata l’Europa. Cosa c’è di vero in questo. C’è tutto il dramma della fuga, dell’emigrazione, di intere giovani generazioni dai luoghi di nascita, come l’Africa, ma anche da luoghi come l’Asia o la stessa Europa verso l’America, un fatto che coinvolge i giovani per la voglia di cambiamento, ma che coinvolge anche intere popolazioni di vari paesi per la povertà, la fame e le guerre in atto. Una migrazione che è in corso da decenni nel mondo, e gli Stati europei, africani, americani come gli asiatici, non riescono a risolvere per gli enormi conflitti economici, per uno sviluppo troppo dispari tra poveri e ricchi, per una politica inefficiente. Tutto questo il film non lo affronta, perché il regista sceglie un altro punto di vista, dicevo, ovvero quello dei due giovani, ragazzi cugini, che pur avendo a Dakar il minimo per vivere con le famiglie , hanno un sogno da realizzare, il successo in Europa. Una scelta, questa del film di Garrone che condivido, perché non è un film documentario sulle politiche migratorie che noi pubblico ogni giorno seguiamo con le tragedie degli sbarchi, con le immagini della TV dei barconi e delle barche piene di migranti tutti provenienti dall’Africa verso le coste italiane, le prime dell’Europa. Questo film cambia prospettiva, ci rende con le immagini di un bel racconto, una storia vera, il viaggio dei due ragazzi verso la speranza di un felice cambiamento. Tuttavia la realtà è di una durezza spietata , la vera realtà dei viaggi di tutti i migranti , è terribile, fatta di fatiche e violenze fisiche, di stenti , e come nel film viene narrato di un ferocia di altri uomini , che sfruttano e approfittano della gente che parte , anche se tutti africani come loro, ma solo con un potere della forza in più , le armi , gli apparati dello stato che li appoggia , spesso feroci dittature. I due ragazzi, Seydou , specialmente, viene scoraggiato dal partire dalla madre e da chi conosce i pericoli ma loro due di nascosto partono per raggiungere ad ogni costo L’Europa. Dunque, il film sviluppa tutte le terribili vicende che il viaggio riserva loro. Garrone non risparmia lo spettatore sulla terribilità del verismo rappresentato, scene che pesano sulla coscienza di tutti, e che tutti gli spettatori del film, avranno modo di ricordare. Ciò nonostante il regista riesce a tradurre tutto anche in un linguaggio dell’immaginario, le visioni e i sogni dei due ragazzi a confronto con le morti nel deserto o nei trasferimenti a piedi o nei furgoni tra Senegal Algeria e Libia i paesi interessati, al passaggio fino agli imbarchi sul mare. La Storia qui si concentra sul personaggio di Seydou, che da ragazzo ingenuo e incredulo, viene scelto dai trafficanti e dagli scafisti che organizzano i viaggi, come colui che dovrà guidare il barcone pieno di uomini e donne fino alle coste italiane. Seydou è costretto ad accettare , pur di partire ma al cospetto di quella gente che dovrà portare verso la salvezza, diventa un giovane forte e responsabile, Le immagini del viaggio in mare pur essendo crude e drammatiche, cambiano senso , non rappresentano la ferocia o la brutale violenza umana, ma un viaggio in un mare che contrariamene alle tempeste e ai naufragi, della cronaca, consente alla barca di navigare fino alle coste della Sicilia grazie anche alla tenacia e alla convinzione del giovane ormai maturo ,Seydou, che ha portato in salvo tutto il carico umano che aveva con sé. Un film con due giovani interpreti, non attori veri ma personaggi realistici, che iI regista ha saputo guidare per tutto il film e che, insieme alla fotografia e alle scene dalle più fantastiche alle più feroci, fanno di questo film un esempio di cinema di autore di grande qualità e spessore da annoverare nel grande cinema italiano. (Mauridal)
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stefano lucchi
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lunedì 25 settembre 2023
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mitologico
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Consiglio il film a tutti, adulti, bambini, donne incinte, elettori di destra e di sinistra, è un balsamo sensibilizzante di cui c’è bisogno, condito di poca retorica e scarsa politica. Il tema è il viaggio, non se sia giusto o sbagliato, o cosa bisognerebbe fare o non fare. È un viaggio complicato, pericoloso e per certi versi assurdo. I protagonisti lo sanno bene e quello che sfugge, più che altro, a noialtri oltremare, è il motivo, sia nel film che nella realtà. Restando sul film, infatti, i nostri a casa loro vivono in fondo una povertà dignitosa e una socialità che qua da noi ormai è estinta, sempre meglio che imboccare una via ormai lastricata di cadaveri, chi glielo fa fare?! Eppure, non abbiamo scelta, si dicono l’un l’altro prima della partenza, è impossibile non partire, pur dovendo forse morire.
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Consiglio il film a tutti, adulti, bambini, donne incinte, elettori di destra e di sinistra, è un balsamo sensibilizzante di cui c’è bisogno, condito di poca retorica e scarsa politica. Il tema è il viaggio, non se sia giusto o sbagliato, o cosa bisognerebbe fare o non fare. È un viaggio complicato, pericoloso e per certi versi assurdo. I protagonisti lo sanno bene e quello che sfugge, più che altro, a noialtri oltremare, è il motivo, sia nel film che nella realtà. Restando sul film, infatti, i nostri a casa loro vivono in fondo una povertà dignitosa e una socialità che qua da noi ormai è estinta, sempre meglio che imboccare una via ormai lastricata di cadaveri, chi glielo fa fare?! Eppure, non abbiamo scelta, si dicono l’un l’altro prima della partenza, è impossibile non partire, pur dovendo forse morire. La dimensione di questa impossibilità è mitico-religiosa, non ha nulla di pragmatico, il film è costruito attorno a questa percezione, contrappuntata da vari episodi. Come non avevano scelta i cristiani delle origini, se vogliamo, scendendo nelle fosse tra i leoni, o i martiri di Allah, più di recente, nel farsi esplodere in pubblico. Il “Viaggio” è ormai un mito fondativo, oggi tra le genti dell’Africa, uno psicoide implacabile, per dirla con Jung. Il dolore e l’ingiustizia da cui si va via, non sono meno reali, certo, ma nel film di Garrone restano sottotraccia, volutamente, per centrare il vero obbiettivo. I miti sono sempre il vero motore dell’agire umano, c’è poco da fare, poco importa se abbiano a tema il ritorno al focolare di Itaca o l’attivazione di un account su Amazon.
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maddalena messeri
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venerdì 29 settembre 2023
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una moderna odissea che parla al nostro cuore
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E’ molto complicato tradurre a parole le emozioni che “Io Capitano”, il nuovo film di Matteo Garrone, porta con sé. Ma una recensione ha ancora un senso, è proprio quello di aiutare lo spettatore a capire, scegliere, di incuriosirlo senza svelare troppo. Dunque incamminiamoci insieme in questo percorso, che è iniziato in sala (il film è appena uscito) e che passando da queste pagine arriva fino a voi. Sei un ragazzo, hai sedici anni, vivi in Senegal e con tuo cugino non vedi l’ora di scappare. Una casa ce l’hai, l’amore della tua mamma e delle tue sorelle anche, vai a scuola, hai poco ma non ti manca nulla. C’è però un richiamo forte con cui sei cresciuto e che arriva incessantemente attraverso la tv, la radio, il tuo smartphone e si chiama Occidente.
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E’ molto complicato tradurre a parole le emozioni che “Io Capitano”, il nuovo film di Matteo Garrone, porta con sé. Ma una recensione ha ancora un senso, è proprio quello di aiutare lo spettatore a capire, scegliere, di incuriosirlo senza svelare troppo. Dunque incamminiamoci insieme in questo percorso, che è iniziato in sala (il film è appena uscito) e che passando da queste pagine arriva fino a voi. Sei un ragazzo, hai sedici anni, vivi in Senegal e con tuo cugino non vedi l’ora di scappare. Una casa ce l’hai, l’amore della tua mamma e delle tue sorelle anche, vai a scuola, hai poco ma non ti manca nulla. C’è però un richiamo forte con cui sei cresciuto e che arriva incessantemente attraverso la tv, la radio, il tuo smartphone e si chiama Occidente. Ami tutto ciò che l’Europa rappresenta, per questo il tuo futuro lo immagini lì. E lo sogni forte, con l’ingenuità di un bimbo, proiettandoti in un’immagine irreale: vuoi diventare famoso, un rapper o un calciatore, vuoi essere ricco e libero e pensi che questo possa accadere solo una volta arrivato in Italia. Non importa se ti dicono che stai sbagliando, non importa se provano a disilluderti. Tu vuoi partire. E lo fai, zaino in spalla e via. Così, dalla scelta avventata di due adolescenti di Dakar, nasce una moderna Odissea, un viaggio all’inferno raccontato in uno dei più intensi film realizzati in Italia negli ultimi anni. Perché grazie alla storia di Seydu, così si chiama il protagonista dagli occhi liquidi di “Io Capitano”, entriamo in un deserto umano di sabbia e violenza, un labirinto di vento senza scorciatoie, da attraversare con indosso solo una maglietta da calcio logora e un paio Nike. La contraddizione di due mondi, Africa e globalizzazione, sta anche in questi piccoli dettagli. Il punto di vista si ribalta, noi che nei decenni abbiamo visto gli arrivi dei profughi sui barconi, assuefatti dai notiziari che elencano gli sbarchi - echeggiano ormai vuote nelle nostre case le parole dei TG: “Lampedusa, nella notte arrivati in 130” - ora possiamo vedere che dietro a quel numero ci sono delle persone, con la loro valigia di dolore e speranze. Per questo “Io Capitano” è un film coraggioso, perché senza pietismi scava nella realtà, nelle esperienze vissute in presa diretta dai migranti. E perché anche grazie alle inaspettate incursioni oniriche, come zucchero a velo su una torta al cioccolato, ci offre un racconto che parla direttamente alla nostra anima. Quello che Vittorio De Sica ha fatto con “Ladri di Biciclette”, quello che Roberto Rossellini ha fatto con “Roma Città Aperta”, Garrone l’ha fatto con “Io Capitano”. E non stupisce che alla proiezione al Festival di Venezia sia stato osannato, perché finalmente questo film dà uno scossone al cinema italiano, tenendoci incollati al seggiolino con una storia universale, una via crucis in lingua wolof che non lascia spazio a scroll sul cellulare. “Il 70% degli africani sono giovani e hanno il legittimo desiderio di migliorare la loro vita, essere liberi di circolare così come io da ragazzo volevo andare in America. E' un fatto di giustizia: perché ai loro coetanei europei è permesso andare in Senegal in aereo e loro al contrario devono affrontare un viaggio della speranza senza sapere se arriveranno vivi? C'è un tema di libertà, di libertà di circolazione e di giustizia” ha commentato il regista Matteo Garrone. Ora una domanda sorge spontanea: può un film così forte sensibilizzarci, cambiare il nostro immaginario collettivo? Può un film spiegare ai governi più reazionari che questi migranti stanno affrontando in silenzio una moderna Shoah e che hanno bisogno di aiuto e non di porti chiusi? Può un film aprire gli occhi della comunità internazionale? Risposta facile non c’è, l’unica certezza dopo aver visto “Io Capitano” è che ad ogni vita persa nel Sahara, nei lager libici, ad ogni morto nel Mediterraneo, penseremo all’avventura di Seydu e Moussa. E non saranno più morti anonimi ma macigni sulla coscienza. Di tutti.
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peer gynt
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sabato 9 settembre 2023
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un''odissea epico-fiabesca fra morte e speranza
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Non era facile trattare il tema dei migranti senza retorica, ma Garrone ce l'ha fatta trasformandolo in un viaggio impossibile con componenti fra l'epico e il fiabesco. Ed è vero, come è stato scritto da più parti, che i due protagonisti del film sono personaggi che ricordano Pinocchio e Lucignolo alla ricerca del Paese dei balocchi (ché tale appare l'Europa da chi la vede solo attraverso la lente deformante del Web). La loro fuga non è giustificata da guerra, persecuzioni, povertà, ma solo dalla giovanile irruenza di chi cerca di realizzare i propri ingenui sogni e crede che la cosa sia facile e non comporti problemi. Ma, come ci insegna ogni giorno la cronaca, il sogno non è come lo si dipinge, e inoltre per raggiungerlo si rischia tutto, l'innocenza, la dignità e la vita.
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Non era facile trattare il tema dei migranti senza retorica, ma Garrone ce l'ha fatta trasformandolo in un viaggio impossibile con componenti fra l'epico e il fiabesco. Ed è vero, come è stato scritto da più parti, che i due protagonisti del film sono personaggi che ricordano Pinocchio e Lucignolo alla ricerca del Paese dei balocchi (ché tale appare l'Europa da chi la vede solo attraverso la lente deformante del Web). La loro fuga non è giustificata da guerra, persecuzioni, povertà, ma solo dalla giovanile irruenza di chi cerca di realizzare i propri ingenui sogni e crede che la cosa sia facile e non comporti problemi. Ma, come ci insegna ogni giorno la cronaca, il sogno non è come lo si dipinge, e inoltre per raggiungerlo si rischia tutto, l'innocenza, la dignità e la vita. Colpisce, del personaggio protagonista (quello che alla fine pronuncerà la frase che dà il titolo al film), la voglia di spendersi per gli altri anche in situazioni così agghiaccianti e disumane. È un messaggio di speranza che Garrone affida al suo film e al quale, malgrado tutto, vogliamo ancora credere.
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johnny1988
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giovedì 21 settembre 2023
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l''odissea fiabesca di seydou
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IO CAPITANO (M.Garrone, 2023) ***½
Per il suo undicesimo film, Garrone torna al suo cinema delle origini e al tema dell'esodo.
Il soggetto trae ispirazione dalle visite del regista ai centri di accoglienza di Catania e dagli incontri con Kouassi Pli Adama Mamadoum e Fofana Amara, che nel film diventano i protagonisti della storia. Una storia verosimile (e vera) che si afferma in un momento storico (e politico) terribilmente urgente, che accende inevitabilmente gli animi e le coscienze collettivi, specialmente perché il film rivolge al pubblico occidentale il tema pruriginoso dell'accoglienza e del sentimento di immedesimazione.
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IO CAPITANO (M.Garrone, 2023) ***½
Per il suo undicesimo film, Garrone torna al suo cinema delle origini e al tema dell'esodo.
Il soggetto trae ispirazione dalle visite del regista ai centri di accoglienza di Catania e dagli incontri con Kouassi Pli Adama Mamadoum e Fofana Amara, che nel film diventano i protagonisti della storia. Una storia verosimile (e vera) che si afferma in un momento storico (e politico) terribilmente urgente, che accende inevitabilmente gli animi e le coscienze collettivi, specialmente perché il film rivolge al pubblico occidentale il tema pruriginoso dell'accoglienza e del sentimento di immedesimazione.
I due uomini, che oggi vivono in Europa e si sono ricostruiti una vita dopo aver compiuto il lungo viaggio dalla Costa d'Avorio alla Sicilia, soggetti ispiratori del film, vengono incarnati dai giovanissimi Seydou Sarr Seydou (premio Marcello Mastroianni al festival di Venezia) e Moustapha Fall, che mantengono i loro nomi originali nella sceneggiatura.
I due cugini, nel film, sono due giovani entusiasti (e ingenui) accomunati da quello che potremmo chiamare "sogno europeo", spinti dalle influenze globalizzanti di successo e riscatto sociale, che si spingono oltre i confini geografici (e umani) fino ad approdare violentemente nella vita adulta,
Garrone sceglie la formula a lui più cara, la fiaba, per trasfigurare una storia di cronaca "classica" in una storia dai contorni surreali ed epici e per offrire uno spunto di riflessione di attualità (e di emergenza) senza giudizio paternalistico.
Una fluidissima e sentitissima prova "verista" volutamente anti - strappalacrime, che potrebbe (e dovrebbe) ammorbidire il cinismo e la coriacetà xenofoba di un mondo (quello occidentale) che filtra il messaggio ecumenico a suo piacimento e aggira comodamente la carta dei diritti umani (vedi ora la crisi degli sbarchi e la deviazione di rotta proposta da una corposa porzione della UE).
Il film è una di quelle opere antologiche che tutti dovrebbero vedere, ad ogni età, sul viaggio di un "eroe" (eroe in termini più letterali che metaforici) che ha già avuto spazio altrove e in passato di raccontarsi (Enaiatollah Akbari, per esempio), ma che non ha esaurito le sue frecce.
E anche questa centra il bersaglio in pieno.
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