angelo.panzacchi
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domenica 4 agosto 2024
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abbastanza scontato
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"Io Capitano," il film di Matteo Garrone, segue il viaggio disperato di un giovane senegalese verso l'Europa, è stata definita visivamente accattivante ma emotivamente distante.
Uno dei principali problemi è secondo me l'eccessiva attenzione alla forma visiva a discapito del coinvolgimento emotivo. Le riprese eleganti e studiate, pur creando un film esteticamente bello, finiscono per instaurare una barriera con lo spettatore, impedendo un pieno trasporto emotivo nel dramma vissuto dai personaggi. La scelta di evitare la tecnica della camera a mano, solitamente distintiva di Garrone, è stata vista come un errore che limita la visceralità e l'immediatezza del racconto.
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"Io Capitano," il film di Matteo Garrone, segue il viaggio disperato di un giovane senegalese verso l'Europa, è stata definita visivamente accattivante ma emotivamente distante.
Uno dei principali problemi è secondo me l'eccessiva attenzione alla forma visiva a discapito del coinvolgimento emotivo. Le riprese eleganti e studiate, pur creando un film esteticamente bello, finiscono per instaurare una barriera con lo spettatore, impedendo un pieno trasporto emotivo nel dramma vissuto dai personaggi. La scelta di evitare la tecnica della camera a mano, solitamente distintiva di Garrone, è stata vista come un errore che limita la visceralità e l'immediatezza del racconto.
La rappresentazione dei personaggi a tratti appaiono poco caratterizzati. Sebbene vi sia un tentativo di sviluppare una metafora sulla crescita personale e la perdita dell'innocenza, ritengo che il film non offra niente di realmente nuovo o incisivo riguardo i sacrifici e le sofferenze dei migranti. Questa mancanza di originalità e profondità narrativa può risultare deludente, specialmente in un contesto cinematografico già ampiamente esplorato
In sintesi, "Io Capitano" è un'opera visivamente impressionante ma che, secondo alcuni, manca di un coinvolgimento emotivo sufficiente e di una narrazione realmente innovativa, soffrendo anche di problemi legati alla distribuzione e visibilità.
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asia
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giovedì 4 aprile 2024
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onesto e povero
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Un film povero ma onesto che non parte mai ma non si puo' dire che sia fatto male. Discreto anche se un po' didascalico a volte. Finale sbrigativo.
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temat825
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lunedì 11 marzo 2024
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film ben fatto che fa pensare
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Visto la sera prima della notte degli Oscar, è un film molto ben fatto, che una volta tanto riesce ad esprimere la professionalità di una delle più gloriose cinematografie mondiali. Riesce anche ad evitare buona parte della retorica con un racconto asciutto anche se non molto dinamico e tutto sommato prevedibile. Non sono sicuro che fosse nelle intenzioni di chi lo ha scritto, ma per me la vera forza ed il grande significato di Io capitano sta nella domanda che l'odissea dei due cugini di Dakar pone a noi spettatori europei: ma perché un ragazzo africano, anche se non affamato né perseguitato, per cercare fortuna in Europa deve necessariamente affrontare un viaggio brutale e incivile?
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felicity
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giovedì 29 febbraio 2024
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un film che merita attenzione
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"Io capitano" parte neanche dopo pochi minuti con la confessione del figlio alla madre, che racconta male non solo le motivazioni alla base della partenza, ma non crea relazioni, atmosfere. Si va da una scena all'altra senza che ci sia sviluppo. Si va a temi, didascalici. In un viaggio omerico in cui lo spettatore non viaggia, ma assiste da un lato, distaccato, da borghese, nascosto in un angolo.
La fotografia è laccata, bella, eccessivamente curata. Un costante alternarsi di cartoline, senza prospettive semiotiche: ma solo di un'estetica fatta di una mdp che si muove fluida, senza osare, senza sporcarsi le mani, senza che lo spettatore senta la "puzza" di ciò che accade.
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"Io capitano" parte neanche dopo pochi minuti con la confessione del figlio alla madre, che racconta male non solo le motivazioni alla base della partenza, ma non crea relazioni, atmosfere. Si va da una scena all'altra senza che ci sia sviluppo. Si va a temi, didascalici. In un viaggio omerico in cui lo spettatore non viaggia, ma assiste da un lato, distaccato, da borghese, nascosto in un angolo.
La fotografia è laccata, bella, eccessivamente curata. Un costante alternarsi di cartoline, senza prospettive semiotiche: ma solo di un'estetica fatta di una mdp che si muove fluida, senza osare, senza sporcarsi le mani, senza che lo spettatore senta la "puzza" di ciò che accade. Un film che non suda, quindi: un film che fa vedere i volti in maniera limpida, viva ma mai realistica.
E poi il montaggio: un alternarsi costante di dissolvenze incrociate in ogni stacco, dissolvenze ellittiche, sul movimento, per ammorbidire, per creare omogeneità.
Sempre senza alcun motivo linguistico.
Il film di Garrone non è un racconto di disperazione, anzi, è la storia di due ragazzi che rivendicano il diritto di inseguire i loro sogni, come tutti i ragazzi del mondo.
Ha ribaltato il punto di vista di un viaggio: non si è concentrato su di noi; si è concentrato su quello che avviene sulle coste africane, nel deserto, nei paesi più piccoli. Si è concentrato sulle dinamiche familiari e sull'amicizia. Ha cercato di ricostruire una realtà. Questo vuol dire che Io capitano è condizionato, ed è condizionato profondamente, dall'idea di cinema del suo autore. La favola, all'interno del film, non è una via di fuga: è un mondo parallelo, alternativo, in cui poter dare un ordine alla confusione delle parole e affrontare la morte senza lasciarsi travolgere dalla sua inappellabilità.
Garrone non vuole nascondere o addolcire una tragedia. E non vuole nemmeno perdere il contatto con sé stesso e la sua visione.
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nunzio angelo andrea maria distefano
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lunedì 26 febbraio 2024
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da sud a nord, dalla sabbia al mare.
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Mi sto divertendo a vedere tutti i film candidati alla sezione miglior film internazionale degli Oscar 2024.
Ce n’è uno che ha catturato particolarmente la mia attenzione perché, probabilmente, munito di un crescendo emotivo e di una forza espressiva, che credo superi gli altri.
È crudo, spietato, perché la vita sa e può esserlo. I colori cambiano, si susseguono paesaggi meravigliosi, che fanno venir voglia di viaggiare.
È la storia di un’ingenuità che si perde rapidamente, perché per andare da sud a nord, per restare in vita, bisogna crescere in fretta.
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Mi sto divertendo a vedere tutti i film candidati alla sezione miglior film internazionale degli Oscar 2024.
Ce n’è uno che ha catturato particolarmente la mia attenzione perché, probabilmente, munito di un crescendo emotivo e di una forza espressiva, che credo superi gli altri.
È crudo, spietato, perché la vita sa e può esserlo. I colori cambiano, si susseguono paesaggi meravigliosi, che fanno venir voglia di viaggiare.
È la storia di un’ingenuità che si perde rapidamente, perché per andare da sud a nord, per restare in vita, bisogna crescere in fretta. Il legame d’amore che lega una madre al proprio figlio, che trascende distanze e culture. Un’amicizia più forte di tutto.
Inglese, francese, arabo e wolof, la scelta linguistica azzeccata per fare entrare lo spettatore ancora di più in quel mondo di atmosfere, senza bandiere, se non quelle dei blasonati e miliardari club di calcio europei, e certezze.
È l’esatto esempio di come sia la meta a contare, più del viaggio, perché da quella scelta deriva tutto (nel bene o nel male).
Più si va a nord, più la crudeltà umana aumenta, fino ad arrivare alla richiesta di aiuto per centinaia di vite, rimasta inascoltata. Quel silenzio che abbandona alla disperazione ed all’oblio, in mezzo al mare nostrum.
Le grida finali, la ricerca del conforto divino, perché tutti gli uomini sono uguali, quando si sente la morte vicina.
La disperazione e rassegnazione, che si trasformano in gioia, orgoglio e nuova consapevolezza di se stessi.
Infine, la coscienza nello sguardo di un ragazzo ormai uomo, che da nord verso sud, da un’altra prospettiva, capisce che quel battersi il petto urlando ad un elicottero “Je suis le capitaine, io capitano”, diventa quasi l’emblema del preconcetto, vuoto di qualsiasi umanità, verso quelli che non dovrebbero partire, per cercare di cambiare le proprie vite, ma dovrebbero restare a casa loro.
I titoli di coda sono una gioia per occhi ed orecchie.
Per me “Io capitano” (unica frase in italiano) è il film italiano dell’anno. Matteo Garrone, probabilmente, ha raggiunto un nuovo punto di partenza, che farà scuola per il cinema italiano ed europeo.
Non se n’è parlato molto, ma va visto.
Magari vince l’Oscar e finalmente se ne parlerà, come sarebbe corretto fare.
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marione
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lunedì 26 febbraio 2024
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film inutile e superficiale
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Davvero bella e professionale la fotografia, buona l'interpretazione di Seydou Sarr, per il resto il vuoto e l'inutile assoluto nel descrivere un fenomeno come l'immigrazione. Colpisce la superficialità nei confronti di un tale fenomeno tragico. Sconsigliata la visione.
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vivaelleon
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giovedì 22 febbraio 2024
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e questo sarebbe un film da oscar?
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Alla fine il riassunto è semplice: due ragazzotti benestanti, che vivono in un paese invidiabilmente in pace, senza guerre nè carestie nè emergenze climatiche, che hanno scuole e amici e parenti allegri e una vita sociale decisamente superiore a quella di molti altri coetanei occidentali, decidono chissà perchè di averne abbastanza del loro benessere e di farsi un viaggio in Europa - anzi molto probabilmente in Italia, forse (data la loro passione per la musica) per partecipare a Sanremo. Nonostante i chiari avvertimenti dei parenti più avveduti riguardo ai rischi e al reale bilancio costi/benefici della sciagurata impresa (questa è forse la parte più realistica del film, e sicuramente la più sensata - anche se con tutta probabilità in maniera del tutto involontaria rispetto alle intenzioni del regista), i due amici decidono di partire comunque, e mal gliene incoglierà praticamente da subito.
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Alla fine il riassunto è semplice: due ragazzotti benestanti, che vivono in un paese invidiabilmente in pace, senza guerre nè carestie nè emergenze climatiche, che hanno scuole e amici e parenti allegri e una vita sociale decisamente superiore a quella di molti altri coetanei occidentali, decidono chissà perchè di averne abbastanza del loro benessere e di farsi un viaggio in Europa - anzi molto probabilmente in Italia, forse (data la loro passione per la musica) per partecipare a Sanremo. Nonostante i chiari avvertimenti dei parenti più avveduti riguardo ai rischi e al reale bilancio costi/benefici della sciagurata impresa (questa è forse la parte più realistica del film, e sicuramente la più sensata - anche se con tutta probabilità in maniera del tutto involontaria rispetto alle intenzioni del regista), i due amici decidono di partire comunque, e mal gliene incoglierà praticamente da subito. Potrebbe essere un'avventura picaresca, narrata sui toni dell'ironia e del sarcasmo; invece no, bisogna buttarla in caciara. Che poi a ben vedere tanto caciara non è: il quid di denuncia sociale è inferiore perfino al zaloniano Tolo Tolo, e la traversata in barcone perfino ridicola, con quell'happy ending da romanzo rosa. Dove sta il vero dramma? Qual è la ragione vera di cotanto viaggio? Boh. Sceneggiatura approssimativa, messaggio evanescente. Meritorio solo per le bellissime inquadrature desertiche.
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luciano sibio
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domenica 7 gennaio 2024
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film deludente e dai contenuti scontati
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Film deludente e dai contenuti scontati, da Garrone c'è da aspettarsi molto di meglio .Peraltro avrei serie difficoltà a considerare veritiera la ricostruzione della situazione sociale del migrante rappresentato nella storta prima della sua partenza per l'Europa. Se così fosse non esisterebbe questo fenomeno come fenomeno di massa che è la pericolosa emigrazione dall'Africa via mare con i barconi della speranza. Sicuramente alla genesi del fenomeno in questione concorrono fattori socioeconomici di assoluta gravità, ahimè, e non certo il miraggio di partecipare a San Remo. Film deludente e dai contenuti scontati, da Garrone c'è da aspettarsi molto di meglio .
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Film deludente e dai contenuti scontati, da Garrone c'è da aspettarsi molto di meglio .Peraltro avrei serie difficoltà a considerare veritiera la ricostruzione della situazione sociale del migrante rappresentato nella storta prima della sua partenza per l'Europa. Se così fosse non esisterebbe questo fenomeno come fenomeno di massa che è la pericolosa emigrazione dall'Africa via mare con i barconi della speranza. Sicuramente alla genesi del fenomeno in questione concorrono fattori socioeconomici di assoluta gravità, ahimè, e non certo il miraggio di partecipare a San Remo. Film deludente e dai contenuti scontati, da Garrone c'è da aspettarsi molto di meglio .Peraltro avrei serie difficoltà a considerare veritiera la ricostruzione della situazione sociale del migrante rappresentato nella storta prima della sua partenza per l'Europa. Se così fosse nFilm deludente e dai contenuti scontati, da Garrone c'è da aspettarsi molto di meglio .Peraltro avrei serie difficoltà a considerare veritiera la ricostruzione della situazione sociale del migrante rappresentato nella storta prima della sua partenza per l'Europa. Se così fosse non esisterebbe questo fenomeno come fenomeno di massa che è la pericolosa emigrazione dall'Africa via mare con i barconi della speranza. Sicuramente alla genesi del fenomeno in questione concorrono fattori socioeconomici di assoluta gravità, ahimè, e non certo il miraggio di partecipare a San Remo.on esisterebbe questo fenomeno come fenomeno di massa che è la pericolosa emigrazione dall'Africa via mare con i barconi della speranza. Sicuramente alla genesi del fenomeno in questione concorrono fattori socioeconomici di assoluta gravità, ahimè, e non certo il miraggio di partecipare a San Remo.
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[+] esattamente il contrario
(di paolorol)
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paolorol
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sabato 23 dicembre 2023
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il coraggio di sfidare la banalità
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Garrone è un regista geniale e coraggioso che con questo capolavoro sfida frontalmente lo stereotipo per raccontarci una soria che parla della nostra civilizzazione ormai totalmente asservita al consumismo sfrenato ed all'impoverimento intellettuale..I nostri giovani sono ormai drogati ed ipnotizzati dalle immagini scintillanti che li divorano dagli schermi dei loro smartphone e hanno perso di vista la realtà. Nessuno si ritiene qualcosa di inferiore, come minimo, ad un pricipe o ad una principessina, nessuno riesce più ad immaginarsi in un ruolo che non sia di facile successo. Una moltitudine di modelle, attori, cantanti, influencer..falliti. E possiamo forse pretendere saggezza e realismo da due ragazzini minorenni che vivono in Senegal, in un sobborgo dove il momento più fashion dell'anno è uno scatenato evento danzante, così simile ad un rave nostrano ma distantissimo dalle fascinazioni del mondo occidentale ?
Garrone compie una scelta radicale nella realizzazione di un quasi docufilm controcorrente che rinuncia alla rappresentazione di un quadro pietistico scontato, laddove un'umanità annichilita da guerre, carestie e povertà abbandona l'inferno nel quale sta agonizzando per cercare la sopravvivenza.
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Garrone è un regista geniale e coraggioso che con questo capolavoro sfida frontalmente lo stereotipo per raccontarci una soria che parla della nostra civilizzazione ormai totalmente asservita al consumismo sfrenato ed all'impoverimento intellettuale..I nostri giovani sono ormai drogati ed ipnotizzati dalle immagini scintillanti che li divorano dagli schermi dei loro smartphone e hanno perso di vista la realtà. Nessuno si ritiene qualcosa di inferiore, come minimo, ad un pricipe o ad una principessina, nessuno riesce più ad immaginarsi in un ruolo che non sia di facile successo. Una moltitudine di modelle, attori, cantanti, influencer..falliti. E possiamo forse pretendere saggezza e realismo da due ragazzini minorenni che vivono in Senegal, in un sobborgo dove il momento più fashion dell'anno è uno scatenato evento danzante, così simile ad un rave nostrano ma distantissimo dalle fascinazioni del mondo occidentale ?
Garrone compie una scelta radicale nella realizzazione di un quasi docufilm controcorrente che rinuncia alla rappresentazione di un quadro pietistico scontato, laddove un'umanità annichilita da guerre, carestie e povertà abbandona l'inferno nel quale sta agonizzando per cercare la sopravvivenza.
No, i due protagonisti abbandonano di notte, di nascosto, contro la volontà delle loro famiglie, non ricche ma neppure disagiate, per intraprendere un viaggio pericolosissimo che metterà a serio repentaglio la loro vita. Abbagliati dal desiderio di riuscire a conquistare un angolino anche di secondo piano nello stardoom. Quello che da loro la forza di sopportare le prove più dure senza perdere il coraggio è proprio il desiderio di "farcela", di entrare nel club di quei fortunati ai quali la gente chiede un autografo per strada..
Il film scorre lento ed inesorabile raccontandoci orrori che forse si avvicinano solo lontanamente alla cruda realtà ma ciononostante riescono a colpire le nostre menti ciniche ed egoiste. Formalmente perfetto, sceneggiatura essenziale e pertanto realistica, fotografia splendida, recitazione straordinaria. Che fine faranno i due protagonisti ora che "ce l'hanno fatta"? A Venezia li abbiamo visti sfilare orgogliosi dei loro look costosi e kitsh, graziati dalla sorte come i personaggi che hanno interpretato.
Garrone non ci pone di fronte a ricatti morali,ci costringe a pensare all'importanza dell'apparire. E lo fa con una grande maestria, degna di rappresentare agli Oscar un'Italia che purtroppo non esiste.
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sergio dal maso
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martedì 14 novembre 2023
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un capolavoro, splendido quanto necessario
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“Anima mia, scampata dal mare, in questa notte di vento asciugami (…)
splendi sopra queste assi, sopra questo mare, questo mare scuro, splendi sulla mia fatica, splendi su di me (…)
Davvero davvero ti chiedo davvero, se ce la faremo o no, passo dopo passo so che ti raggiungerò.”
Mauro Pagani (Davvero davvero)
Ci sono film che meritano di essere visti per il loro valore cinematografico, per la qualità estetica o di scrittura, altri per le emozioni che riescono a trasmettere. Pochi però sono imprescindibili, in qualche modo necessari.
Io Capitanodi Matteo Garrone è uno di questi, perché, sul delicatissimo quanto urgente tema dell’immigrazione, ribalta la nostra prospettiva di spettatori occidentali, mettendo in scena una sorta di controcampo narrativo.
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“Anima mia, scampata dal mare, in questa notte di vento asciugami (…)
splendi sopra queste assi, sopra questo mare, questo mare scuro, splendi sulla mia fatica, splendi su di me (…)
Davvero davvero ti chiedo davvero, se ce la faremo o no, passo dopo passo so che ti raggiungerò.”
Mauro Pagani (Davvero davvero)
Ci sono film che meritano di essere visti per il loro valore cinematografico, per la qualità estetica o di scrittura, altri per le emozioni che riescono a trasmettere. Pochi però sono imprescindibili, in qualche modo necessari.
Io Capitanodi Matteo Garrone è uno di questi, perché, sul delicatissimo quanto urgente tema dell’immigrazione, ribalta la nostra prospettiva di spettatori occidentali, mettendo in scena una sorta di controcampo narrativo. Racconta una storia di migranti con lo sguardo di chi parte, con la visione di chi il viaggio lo vive realmente sulla sua pelle tra la sofferenza fisica e le ferite dell’anima. Senza retorica né pietismo, con una grazia e una poesia che arrivano al cuore.
Seydou e Moussa sono due cugini senegalesi, inseparabili. Due ragazzi normali, con le stesse speranze e ambizioni di un qualsiasi adolescente europeo: sfondare come musicisti e diventare famosi. Hanno una vita semplice, forti legami famigliari e solidarietà tra vicini. Una povertà tutto sommato dignitosa.
A differenza di migliaia di migranti che fuggono da guerre civili o carestie, Seydou e Moussa vogliono partire per inseguire un sogno, per realizzare le proprie aspirazioni. Sono disposti a tutto, ingenui e impavidi ai limiti dell’incoscienza, non credono ai racconti drammatici di chi “il viaggio” l’ha già fatto.
Il sogno diventerà un incubo. Il viaggio verso l’Europa si trasformerà in un’Odissea contemporanea, una Via Crucis tra fatiche disumane, inganni e violenze indicibili. Con “stazioni” terribili, prima i predoni del deserto, poi i centri di detenzione delle bande criminali libiche e, infine, l’allucinante traversata del Mediterraneo.
Per i due giovani migranti i dolorosi accadimenti che dovranno affrontare diventeranno tappe di un percorso di maturazione e di crescita interiore. Seydou non perderà mai la speranza di ritrovare e salvare Moussa, mantenendo in ogni circostanza quell’innocenza e quella purezza d’animo con cui era partito dal villaggio.
Io Capitano, infatti, trasuda umanità, anche nelle situazioni più tragiche il protagonista si aggrappa al sentimento di fratellanza, al disperato bisogno di restare umani. La fiammella della speranza non si spegne mai, nemmeno nei momenti più atroci e crudeli.
La grandezza di Garrone, uno dei pochi registi italiani con un respiro internazionale, è quella di riuscire a raccontare la realtà attingendo anche dall’immaginario onirico, da una dimensione fiabesca.
Non è un caso che il suo precedente film sia stato Pinocchio. Nell’assoluta verità della storia di Seydou e Moussa vi sono molti elementi in comune con la fiaba: le bugie, il miraggio del Paese dei Balocchi, i (tanti) gatti e le volpi incontrati nel cammino. D’altro canto, il segreto delle fiabe è proprio quello di raccontare con la simbologia la vita vera.
Le emozioni che il film trasmette sono amplificate dalla verità che racconta: la storia è stata scritta a otto mani, mettendo assieme singole storie rigorosamente vere ascoltate dai migranti. Coraggiosa e ineccepibile anche la scelta di lasciarlo in lingua originale wolof, parlata da circa la metà dei senegalesi.
Sulla straordinaria bravura del regista c’è poco da aggiungere. Molte inquadrature sono quadri in movimento, di una bellezza estetica ammaliante. La fotografia di Paolo Carnera è magnifica, i colori nella prima parte sono caldi e accesi, poi via via sempre più cupi, come le magliette dei ragazzi che diventano impolverate e sgualcite. La scena del superamento della piattaforma petrolifera illuminata nel silenzio della notte nera è da pelle d’oca.
Seydou Sarr e Moustapha Fall sono sensazionali per espressività e spontaneità, il giovane protagonista ha vinto, meritatamente, il premio Mastroianni come miglior attore esordiente alla Mostra del Cinema di Venezia.
Il racconto si ferma davanti alla terraferma, prima che inizi quella sarabanda massmediatica che, ahimè, conosciamo bene. Non serve che ci raccontino cosa accadrà dopo, quello purtroppo lo sappiamo. Non serve nemmeno documentarsi per sapere che il vero Seydou, in quanto “scafista”, è stato arrestato per favoreggiamento di immigrazione clandestina. Fofana Amara, questo il suo vero nome, ha preso “solo” sei mesi di carcere in quanto minorenne. Oggi vive in Belgio e non è ancora stato regolarizzato.
Alla fine del film, per fortuna, abbiamo un altro sguardo, quello di Seydou e Moussa. Il miracolo cinematografico di Io Capitano sta proprio nella totale empatia con cui condividiamo il loro viaggio, liberi dalle nostre paure e dagli odiosi pregiudizi per cui i migranti sono clandestini prima che persone.
L’urlo finale è tanto emozionante quanto liberatorio. Viene voglia di alzarsi in piedi e di andare ad abbracciare Seydou dentro al barcone. Tra i tanti sedicenti “capitani” di chiacchere e discorsi vuoti, lui è un capitano vero. O forse, solo un ragazzo diventato Uomo.
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