ivan il matto
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mercoledì 11 settembre 2024
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lo chiameremo "little steven"
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Se, come si dice, è vero che l'Egitto è un dono del Nilo, sarà anche vero che il cinema americano deve tanto al genio e alla creatività di Steven Spielberg. Col suo ultimo, riuscitissimo, "The Fabelmans', il regista di Cincinnati, prossimo al traguardo degli 80 anni, decide di riavvolgere il nastro della sua vita, regalandoci la storia romanzata di infanzia e giovinezza di Sammy Fabelmans, suo alter ego dichiarato. Al punto che potremmo, confidenzialmente, chiamarlo Little Steven, senza per questo confonderlo col più famoso chitarrista della E-street band di Bruce Springsteen. È il 1952 quando il giovane Steven scopre il "Più grande spettacolo del mondo" che non è il circo, di cui ci parla Cecil B.
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Se, come si dice, è vero che l'Egitto è un dono del Nilo, sarà anche vero che il cinema americano deve tanto al genio e alla creatività di Steven Spielberg. Col suo ultimo, riuscitissimo, "The Fabelmans', il regista di Cincinnati, prossimo al traguardo degli 80 anni, decide di riavvolgere il nastro della sua vita, regalandoci la storia romanzata di infanzia e giovinezza di Sammy Fabelmans, suo alter ego dichiarato. Al punto che potremmo, confidenzialmente, chiamarlo Little Steven, senza per questo confonderlo col più famoso chitarrista della E-street band di Bruce Springsteen. È il 1952 quando il giovane Steven scopre il "Più grande spettacolo del mondo" che non è il circo, di cui ci parla Cecil B.De Mille, ma il cinema evidentemente! Comincia così l'avventura di un ragazzo folgorato sulla via della settima arte, 35 film che valgono questo perché è come se li racchiudesse tutti: dall'angoscioso "Duel"(1973) allo speranzoso "E.T l'extraterrestre" (1982), dai paurosi "Lo squalo" (1976) e "Jurassic Park" (1993) al commovente "Schindlers List" (1994). Il film della sua famiglia coincide col suo film della vita: commedia, melodramma familiare, iniziazione e consolidamento di una passione travolgente. La vita è cinema per lui, così troviamo riversate nelle sue prime pellicole amatoriali, paure, sentimenti, disgusto per una scuola "superiore' nella definizione ma infima, nei fatti, perché viziata da bullismo e becero antisemitismo. Il finale, poi, un vero colpo di genio, David Lynch, nei panni di John Ford che spiega al giovane neofita, cos'è l'orizzonte del cinema. Così come Monroe Stahr (un maestoso Bob de Niro) negli "Ultimi Fuochi" di Elia Kazan ...( e Scott Fitzgerald), spiegava ad attori narcisisti e presuntuosi, con cosa si può fare cinema. 151 minuti e neanche accorgersene!
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fab82ant72
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lunedì 6 novembre 2023
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appallante
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Il viaggio nella notte di 4 millenial ammorba, stanca e trita gli zebedei. Lo spunto è banalotto, la messa in scena fintamente ribelle e la sceneggiatura è sfilacciata e sembra scritta da mio nipote di 16 anni in fissa per la trap. Se questo è il tentativo rivoluzionario della "nuova commedia italiana", aiuto, è abortito prima di iniziare. Gli attori niente di eccezionale.
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simobirilli
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sabato 16 settembre 2023
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bello perché è di spielberg?
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Non ci siamo. Inutilmente lungo e se non aveste saputo che era di Spielberg o che è un racconto sulla sua vita e non si un qualsiasi ragazzino, sarebbe bocciato da chiunque. Poca magia e poco interesse in quello che viene raccontato. Ultima cosa: lui cresce, ma i genitori non invecchiano mai?
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emidio peroni
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domenica 2 luglio 2023
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the fabelmans
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Sam Fabelmans ovvero Steven Spielberg. Un ritratto
autobiografico gentile e delicato. Non ci si aspetti di vedere qualcosa di estremamente coinvolgente. Il film è lungo ha molte pause e se la prende comoda. Ma è lentezza profumata, gradevole. The fabelmans è per l'anima ciò che il dopodoccia è per la pelle. Lo spettatore alla fine non guarda un orizzontw cenrale ma che va oltre le banalità di molti film e serie tv scontate ed arzigogolata. Tutto scorre la vita la morte gli eventi.
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felicity
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mercoledì 31 maggio 2023
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racconto autobiografico dell''amore per il cinema
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The Fabelmans racchiude l’essenza del cinema di Spielberg, un vero e proprio manifesto artistico ed emotivo di un genio che ha emozionato generazioni di spettatori.
La straordinaria capacità del cineasta premio Oscar di mescolare cinema autoriale e cinema popolare raggiunge in The Fabelmans vette altissime. La natura della storia permette infatti a chiunque di relazionarvisi, ma non è noiosa né banale, mentre la confezione registica è incredibilmente raffinata pur non indugiando in orpelli e autocompiacimenti.
Nonostante la durata impegnativa di due ore e mezza il film scorre in maniera piacevolissima, senza perdersi in lungaggini e senza facili escamotage di scrittura.
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The Fabelmans racchiude l’essenza del cinema di Spielberg, un vero e proprio manifesto artistico ed emotivo di un genio che ha emozionato generazioni di spettatori.
La straordinaria capacità del cineasta premio Oscar di mescolare cinema autoriale e cinema popolare raggiunge in The Fabelmans vette altissime. La natura della storia permette infatti a chiunque di relazionarvisi, ma non è noiosa né banale, mentre la confezione registica è incredibilmente raffinata pur non indugiando in orpelli e autocompiacimenti.
Nonostante la durata impegnativa di due ore e mezza il film scorre in maniera piacevolissima, senza perdersi in lungaggini e senza facili escamotage di scrittura. Oltre al suo valore simbolico, autobiografico e metacinematografico, il nuovo film di Steven Spielberg riesce infatti a tenere incollati allo schermo grazie alla sapiente gestione del ritmo e dei registri narrativi al suo interno, tra cui quello della commedia, genere in cui Spielberg si è poco cimentato, ma che maneggia con estrema naturalezza.
Gli ultimi minuti del lungometraggio poi sono una vera e propria lezione per i giovani autori: quello che conta, alla fine, non è tanto ciò che si rappresenta, ma come lo si rappresenta. Il Cinema è una questione di sguardo, di prospettiva, di orizzonte: solo l’occhio dell’artista è in grado di regalare unicità all’opera.
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figliounico
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mercoledì 17 maggio 2023
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un fattarello firmato da un grande favolista
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Più di due ore e mezza per raccontare un fattarello in forma aneddotica che riguarda l’infanzia e l’adolescenza di Spielberg, la nascita della sua passione per la settima arte e le vicende coniugali molto private della sua famiglia d’origine e che si potrebbe riassumere nelle poche righe di un soggetto minimalista, di per sé poco o per nulla interessante, ma che grazie alla prospettiva a posteriori di un successo ottenuto a livello mondiale, per le indubbie doti di cineasta, si trasforma in un accattivante biopic fatto apposta per la curiosità morbosa di quei cinefili appassionati della vita più che delle opere dei propri eroi, artefici a loro volta di favole in celluloide per adulti, come suggerisce il cognome fittizio che si dà l’autore nel suo film.
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Più di due ore e mezza per raccontare un fattarello in forma aneddotica che riguarda l’infanzia e l’adolescenza di Spielberg, la nascita della sua passione per la settima arte e le vicende coniugali molto private della sua famiglia d’origine e che si potrebbe riassumere nelle poche righe di un soggetto minimalista, di per sé poco o per nulla interessante, ma che grazie alla prospettiva a posteriori di un successo ottenuto a livello mondiale, per le indubbie doti di cineasta, si trasforma in un accattivante biopic fatto apposta per la curiosità morbosa di quei cinefili appassionati della vita più che delle opere dei propri eroi, artefici a loro volta di favole in celluloide per adulti, come suggerisce il cognome fittizio che si dà l’autore nel suo film. Nonostante il tono narrativo, che oscilla tra il melenso ed il patetico, il film scorre senza annoiare troppo e giunge al finale, già dimenticato, tenendo desta la platea forse anche per la bravura degli ottimi professionisti del cast, soprattutto convincente la performance di Paul Dano nella parte del padre, per i dialoghi non del tutto banali ma di certo non geniali, scritti a quattro mani dallo stesso Spielberg e dallo sceneggiatore dei suoi ultimi lavori, Tony Kushner, e per la colonna sonora costituita per lo più da brani di musica classica tra cui i suggestivi Gymnopédies di Erik Satie. Il regista del Lo squalo e di Jurassik Park e di tanti altri piacevoli prodotti del cinema inteso come puro spettacolo si conferma maestro dell’intrattenimento anche nella messa in scena della sua adolescenza che riesce a rendere guardabile, nonostante sia assolutamente comune, scegliendo come genere la commedia, incentrata sulla dinamica dei rapporti umani e colorita dalla chiacchiera vivace dei personaggi e da emozioni primarie e superficiali, piuttosto che il dramma introspettivo alla Bergman, perché si sa, e Spielberg meglio di tutti lo sa, che al cinema la gente ci va per distrarsi e non certo per pensare.
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giovanni
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giovedì 11 maggio 2023
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e john ford?
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Bellissima recensione, densa, appassionata, convincente. Ma perché lasciar fuori la deliziosa scena finale dell'incontro con John Ford?
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gabriella
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domenica 16 aprile 2023
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where is the horizon?
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S'incomincia con un temporale... prendo a prestito l'incipt del libro più famoso di Luigi Meneghello, per descrivere la scintilla che ha poi dato vita a uno dei più famosi e importanti registi al mondo. Nel caso di Spielberg non si parla ovviamente di un fenomeno atmosferico, piuttosto un temporale emotivo, suscitato dalla sua prima visione di un film in una buia sala cinematografica, lo scontro di un treno, che gli rimarrà impresso e del quale avvertirà il bisogno di replicarlo .
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S'incomincia con un temporale... prendo a prestito l'incipt del libro più famoso di Luigi Meneghello, per descrivere la scintilla che ha poi dato vita a uno dei più famosi e importanti registi al mondo. Nel caso di Spielberg non si parla ovviamente di un fenomeno atmosferico, piuttosto un temporale emotivo, suscitato dalla sua prima visione di un film in una buia sala cinematografica, lo scontro di un treno, che gli rimarrà impresso e del quale avvertirà il bisogno di replicarlo .Sicuramente è il film più intimista, più vulnerabile del regista di Cincinnati, poiché svela aspetti che lo hanno accompagnato nella sua infanzia e nelle acque tumultuose dell’adolescenza. L’alter ego in questo caso è Sammy, che vive con le sorelle e i genitori, ingegnere lui, concertista mancata lei, avendo sacrificato la carriera per la famiglia, i frequenti trasferimenti per assecondare il lavoro del padre, i primi filmati che rappresentano scene familiari o realizzate con gli amici scout, l’instabilità emotiva della madre, intrappolata tra il dovere e il bisogno di esprimersi, la pacatezza del padre, sempre pragmatico a fornire spiegazioni dettagliate ai figli sul funzionamento delle cose, ma anche l’incontro con lo zio Boris, un circense che spiegherà a Sam l’importanza di controllare le paure, e che il destino dell’artista è lastricato di sofferenzal. E sarà proprio il divorzio dei genitori a spezzargli il cuore, e Sam lo intuisce prima che ciò accada, non davanti la realtà di tutti i giorni, ma guardando le immagini del suo filmato in moviola tra le note dell’Adagio di Bach. Da qui la necessità e il bisogno di rifugiarsi nel cinema, di imbottigliare sogni dietro la cinepresa, di credere e alimentare il suo desiderio, la sua passione, ricompattare le fratture e le lacerazioni della complessità della natura umana- Sam comprende che può manipolare la realtà, modellarla e migliorarla, così come la realizzazione del filmato in spiaggia , dove riprende Logan ( il bullo della scuola che lo deride per le sue origini ebraiche, ) come un semidio, nella sua prestanza fisica e costringendolo a misurarsi con un sé stesso fragile e ansioso . Sam si muove tra razionalità ed emozione, gli elementi che contraddistinguono i suoi genitori, fino all’accettazione che le cose accadono perché devono accadere e dopo tanti anni, a 75 anni Steven Spielberg ci racconta la sua storia personale ,non più attraverso le metafore dei suoi film precedenti, e il suo incontro/scontro con il cinema, senza dimenticare di stupirci, di lasciarci come sempre , incantati e trasportati dalla magia del cinema, come quel bambino di sei anni , a bocca aperta, nel suo battesimo con il grande schermo. E ci incamminiamo con lui, verso un orizzonte luminoso che pian piano la cinepresa corregge e converge verso l’alto.
Da sottolineare la brillante interpretazione del giovane Gabriel LaBelle, quella di Paul Dano , nonché i camei di Hirsch e Linch. Menzione a parte per Michelle Williams, che devo ammettere non mi ha convinta nella versione in italiano, mi pareva goffa e artificiosa, mentre nella versione originale è splendida., Ovviamente è un mio parere personale, ma sono sempre più convinta della necessità di guardare i film in lingua originale, trovo che il doppiaggio sia notevolmente scaduto negli ultimi anni, c’è una piattezza di espressione che è impossibile non notare e mi accorgo che si perde moltissimo nella visione. La voce è uno strumento essenziale per un attore, privato di ciò o con l’ausilio posticcio di una voce impersonale, si ha una percezione non veritiera della performance reale.
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kyotrix
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lunedì 10 aprile 2023
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bel film, ma noiosetto..
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Mi aspettavo decisamente meglio. La maggior parte del film è incentrato sui problemi famigliari ( soprattutto la madre ), rendendolo noioso ( anche se fatto bene ) in alcuni momenti. Speravo più sull'arte cinematografica.
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ralphscott
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domenica 26 marzo 2023
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il sacro fuoco spento dalla noia
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L'aspetto che più apprezzo é che c'é passione, ed arriva a noi. Il sogno del cineasta in nuce, le difficoltà e gli ostacoli familiari, le delusioni, i successi, la tecnica ed i suoi strumenti, lo stupore. Tuttavia ho fatto fatica a stare sveglio, a seguire una messa in scena tanto sincera quanto intima, troppo. I genitori mi sono sembrati personaggi più riusciti o, almeno, più interessanti. Mitzi é un ibrido tra D. Day, J. Wyman (ah, quegli occhiali rossi!) e C. Colbert, infinitamente triste ed irrisolta, una personalità apparentemente esplicita, ma gratta gratta...sfuggente. Il padre, col viso unico ed irripetibile di Paul Dano, una sfinge che quasi fa rabbia: ci é o, più probabilmente, ci fa ? è tale e tanto l'amore per far chiudere gli occhi davanti alla tresca che sconvolge il povero figliuolo ? W il cinema fatto con passione, quindi, ma dal re dei registi era lecito aspettarsi di più.
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