Dal 30 gennaio riparte un evento ricco di grandi scommesse, tra cui molti italiane.
di Tommaso Tocci
Per la sua cinquantaquattresima edizione, che prenderà il via il 30 gennaio e durerà fino al 9 febbraio, il festival di Rotterdam sembra aver trovato una certa stabilità dopo anni di grandi cambiamenti a livello organizzativo e identitario. Un’epoca si è chiusa, ma un’altra è certamente cominciata, sempre sotto la guida di Vanja Kaludjercic che è ormai in sella dal 2020.
Come sempre ci sarà anche un’interessante presenza italiana, spesso fatta di nuove voci, coproduzioni internazionali, e un cinema non banale che da noi fatica a farsi notare. E quindi oltre alle grandi firme di passaggio (Vermiglio, Il tempo che ci vuole, L’abbaglio, perfino U.S. Palmese, l’ultimo dei Manetti che da queste parti sono molto apprezzati) ecco opere come L’oro del Reno a firma di Lorenzo Pullega, che debutterà nella sezione Big Screen Competition: si tratta di una collezione di ritratti folkloristici e antropologici ad ambientazione fluviale in Emilia Romagna.
Già intravisto a Venezia in Orizzonti, è da segnalare anche Wishing On a Star dell’ungherese Péter Kerekes, il quale però dichiaratamente vuole immergersi nell’universo cinematografico italiano e da noi ambienta una parabola magica e onirica su un’astrologa che spedisce i suoi clienti in viaggi in giro per il mondo in cerca di una rinascita.
Il programma di Rotterdam è così ampio che si rischia di perdersi, e allora è bene tenere a mente la sezione Harbour per avere un “porto sicuro”. Cinema di scoperta da tutto il mondo, in omaggio alla storia portuale della città, dove quest’anno troveremo le particolari tecniche di animazione di Balentes, realizzato da Giovanni Columbu, che guarda alla seconda guerra mondiale dalla prospettiva della Sardegna rurale, con due ragazzi che vogliono salvare i cavalli prima che vengano mandati a combattere.